L’anellino – scritta il 30 giugno 1995

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Ho comprato un anellino.

A lei lo voglio regalare.

Luccicante di oro fino,

più del sole che muore in mare.

Non è che un dolce pensierino,

simbolo di qualcosa

troppo grande da immaginare.

A lei lo voglio regalare,

per dimostrarle l’amore che provo.

Ché possa spiegarle col suo luccichio,

quel che vorrei dirle e le parole non trovo.

Qual gioia ho in cuor,

nell’immaginarmi il suo viso, i suoi occhi;

le sue dita sfiorare questo splendido anellino.

La sua mano nasconderlo dietro la mia schiena,

quando avvicinandosi,

in un abbraccio m’avvolge.

I suoi occhi riflessi nei miei, mi bacia, sorride;

sussurra “ti amo”;

ed io “sei bella”, rispondo incantato.

E’ ciò che m’aspetto da questo anellino:

che a lei riveli la mia voglia d’amare.

Non so aspettare, la vado a cercare.

La trovo in un vicolo, passeggia distratta.

La saluto, sorrido, m’avvicino sicuro.

Le bacio la mano sfiorandola appena,

ma cos’è quella cosa che luccica là?

“Mi sono sposata. E’ stato ier l’altro.”

Ah, davvero? E con chi?

No aspetta! Non voglio saperlo.

Volevo dirti una cosa,

non importa, non fa niente.

Sii felice amica mia.

Sii felice più di me.

Ho comprato un anellino.

A lei volevo regalarlo.

Ma per il suo posto c’era già un anello.

Più grande, più grosso e molto più bello.

C’è una chiesa un pò più avanti.

C’è una bimba sulle sue scale.

Da quella bimba di dieci anni

vado spesso a chiacchierare.

Coi vestiti logori,

sta li seduta a vender margherite.

“Ciao signore, come stai?”

Le sorrido, m’avvicino sicuro.

Ho comprato un anellino

te lo voglio regalare.

Qual gioia nel suo viso, nei suoi occhi;

vedere le sue dita sfiorare

quello splendido anellino.

La sua mano nasconderlo dietro la mia schiena,

quando avvicinandosi,

in un abbraccio m’avvolge.

I suoi occhi riflessi nei miei,

mi bacia la guancia, sorride.

Sussurra:

“Grazie signore, anch’io voglio regalarti qualcosa”;

così dicendo mi porge tutte le sue margherite.

La saluto, vado via con i fiori.

La notte scende in ogni luogo,

ed il buio confonde

ciò che poco prima era chiaro.

Lo nasconde, gli da mistero.

Sulle scale di una chiesa brilla come una stella,

un anellino ad un dito,

quasi fosse una lucciola.

Una di quelle tante lucciole

che volano intorno al ponte diroccato

alla periferia del paese.

Sotto quel ponte scorre lento un fiume.

Sulle rive di quel fiume,

incastrate tra le fronde bagnate

stanno tante margherite, strappate,

schiacciate, buttate via.

Tra i loro petali dorme la luna,

riflessa sull’acqua.

Tra i loro petali dorme per sempre

il ricordo di parole mai dette.

Di un uomo che ha amato tanto

e che adesso è sparito per sempre.

 

Il poeta maledetto

 

Inno alla luna – scritta il 15 maggio 1995

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In quest’or tarda della notte, luna,

la tua argentata veste

distendi leggera sul mar,

che brontolando in delicate onde, dorme.

Tutto è silente, oh luna.

Anche tu, alta lassù in cielo.

Appresti al nostro tatto

soltanto il tuo riflesso.

Lontana stai, eppur così vicina sembri.

Luna, regina misteriosa di ciò ch’è oscuro;

si dice che tra i tanti tuoi crateri

il senno degli umani custodisci.

Ma allor perché guardando il tuo splendor

divento matto?

Quel manto tuo argentato mi simiglia

a un fiume di capelli di una donna.

Di quella donna, oh luna, che col sorriso,

rubò la vita mia, il mio destino.

Ed ora canto a te questo mio inno,

cercando in te ciò che quella donna mi prese.

Luna, più ti guardo e più mi accorgo

che sorridi come sorrideva lei.

Avvolgimi con le tue vesti argentee,

fammi dimenticar di lei.

No! Luna.

Avvolgimi come faceva lei.

Si! Non so dimenticar, non voglio.

Resto a cantar la tua magnificenza.

Col mio inno alla luna,

col mio inno a lei.

 

Il poeta maledetto

 

 

Fotografia – scritta il 30 aprile 1995

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Un respiro profondo, un sospiro.

Il mare calmo, il sole rosso,

che va a sparire in quelle onde al tramonto.

A volte ho pensato di essere un sasso:

non provare emozioni;

non guardare;

non sentire;

non parlare;

non amare.

Seduto sulla riva

ad ascoltare il canto del mare

e il respiro delle stelle.

Ma sarebbe vita quella?

Raccolgo un sasso, uno qualunque,

forse reincarnazione di uno come me.

Lo scaglio contro il sole,

ma è troppo lontano.

Non lo colpisce e cade giù,

in fondo al mare.

Fuggo via,

come le rondini al primo filo di vento.

Davanti a me c’è una stradina in salita

che porta in cima a una montagna.

Corro veloce, non vedo dove vado.

I miei occhi sono ombrati

e le mie lacrime

bagnano la polvere della stradina.

Non so per quanto ho corso.

So solo che il cielo si è fatto buio,

che sono stanco.

Mi siedo, guardo in alto.

I grilli cantano,

una stella cade giù e sparisce.

Un desiderio. Ho da esprimere un desiderio:

“Quanto vorrei tu fossi qui, con me.”

Quanto vorrei stringerti tra le braccia

e sospirare:

“Non saremo più distanti.”

Ma è inutile.

Sono solo, fermo come un sasso,

sotto un cielo così gremito di stelle,

sotto un cielo così buio e vuoto.

Nasce un nuovo giorno,

con il tepore del primo raggio di sole

che m’illumina il cuore.

Abbandono la cima della montagna,

perdendomi giù per la stradina.

C’è un pittore più avanti.

Con i pennelli, i colori e una tela.

Cosa dipinge?

Mi avvicino, e i colori prendono forma.

E’ un viso.

Un dolcissimo viso che conosco.

Una donna bellissima, forse un angelo.

Il pittore si ferma un attimo,

si rivolge a me:

“Ti piace?”

“Si. E’ un sogno!”

“Hai ragione… E’ proprio un sogno.”

Sparisce la tela;

sparisce il pittore;

sparisce la stradina;

sparisce tutto dai miei occhi.

Il viso appoggiato sul cuscino.

Lo scosto via, è tardi.

E ritrovo la tela.

L’angelo bellissimo:

una tua fotografia.

Me la stringo forte al petto.

“Quanto vorrei tu fossi qui, con me.”

A volte ho pensato di essere un sasso:

non provare emozioni;

non guardare;

non sentire;

non parlare;

non amare.

Seduto sulla riva

ad ascoltare il canto del mare

e il respiro delle stelle.

Ma sarebbe vita quella?

Cosa varrebbe un sasso

se non potesse provare emozioni?

Se non potesse guardare

il tuo meraviglioso viso?

Se non potesse sentire

la tua dolce voce?

Se non potesse parlare

e dirti che tutto sarebbe nulla,

se non potesse amare

il tuo splendido sorriso?

Chissà cosa sarebbe quel sasso

senza la luce ch’è

nella tua fotografia,

quella stessa luce che da tempo

illumina la vita mia.

 

Il poeta maledetto

 

Viaggio in mare – scritta il 25 novembre 1994

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Dalla mia finestra vedo il cielo,

vedo il mare,

vedo le navi che lentamente,

scivolano senza rumore.

Giro per la stanza,

ritorno ad affacciarmi

e rivedo il cielo,

rivedo il mare

e vedo la nave con la quale

fra poco dovrò salpare.

Mi immagino sul ponte di coperta,

avvolto nell’impermeabile,

con il vento che sfiora i miei pensieri.

E tutt’intorno è cielo,

è mare, è me stesso.

Un viaggio in mare,

verso l’infinito.

 

Il poeta maledetto

 

Estate – scritta il 6 maggio 1994

 

Il mare, calmo come non mai;

il vento, fresco e leggero;

la spiaggia, vuota e splendente;

il sole, caldo e rilassante.

Io, te, senza tempo, senza scopo.

A goderci il mare, a goderci il vento,

a goderci il sole, mangiando un gelato.

Solo io e te.

E il resto del mondo a crepare d’invidia.

 

Il poeta maledetto