Male in cuore – scritta il 22 giugno 1995

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Potessi esser la tua ombra,

mia dolce bambina,

ti seguirei ovunque,

non per costrizione.

Non sai come felice sarei

di viver eternamente al tuo fianco.

Se tu non fossi di un altro,

potrei esser la luce

a illuminarti la strada

e non un’ombra,

a tormentarti il cuore.

Potrei con la mia mano

accarezzarti il viso,

scivolar giù sul collo.

Tremare e sentirti tremare,

al tocco della tua vellutata pelle.

Stringere forte le tue mani,

quelle tue piccolissime

e delicate mani.

Guardarti negli occhi e baciarti.

Baciare si, dapprima il tuo nasino,

poi sfiorarti la guancia

e lentamente avvolger le tue labbra.

Cosa farei di quel ciuffo

che ti copre la fronte?

Probabilmente gli direi:

“Non interporti fra me e lei,

non esser geloso.

A lei appartieni

come d’altronde anch’io.

Come tu l’ami, anch’io l’amo.”

E son sicuro che

se tu non fossi di un altro,

quel ciuffo tanto mi ringrazierebbe

per l’amore che regalo.

Ma così non è;

il ciuffo lo sa e anch’io lo so.

“Dimentica i tuoi affanni” m’ha suggerito.

“Le labbra tue comandale a un altro ciuffo,

giacché questo cuore te non aspetta,

ma vola via da un altro in tutta fretta.”

A queste sue parole cosa faccio?

Perduto che m’abbia,

a ritrovar la strada provo.

Ma non vi riesco in nessun modo.

E prigioniero resto di una foto

che uscita senza uscita

è pel mio sguardo.

Se tu non fossi di un altro,

in quella foto non vedrei la mia disfatta.

Quel ciuffo maledetto,

bagnato dalle lacrime mie cadute,

non l’odierei com’ora

ché amarlo di più non so.

Quell’ombra che è dietro il tuo faccino

strazio di gelosia non mi procurerebbe.

Non bacerei quest’immagine

nuda di movimento,

spoglia di sentimento;

se il sentimento fosse per me,

non per un altro.

Cosa vuoi che ti dica,

mia dolce bambina.

Ad acquetar le lacrime

non basta il tuo ricordo;

quando sorridi e mi chiami “amico mio”.

Se spero di toccare il cielo,

salendo su di un monte altissimo;

se raccolgo un cumuletto di fango

non più alto di un palmo di mano;

salendoci su, ho solo da guardare il cielo

e ripetermi: “non ci arrivo”.

E’ triste il rassegnarsi,

ammetter la sconfitta.

Bambina mia di un altro,

posso solo andar via.

Mi perdo nelle ombre,

illumino una foto.

In quei delineati quattro bordi,

chiudo e nascondo tutto ciò che ho amato.

Bambina mia dolce,

se tu non fossi di un altro,

direi che ti amo.

Cuoricino mio,

tu appartieni a un altro.

 

Il poeta maledetto

 

La promessa – scritta il 17 giugno 1995

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Non per scherzo scrivo qui tra queste righe.

Ma a ricordare sto di una bambina dolce e piccola,

che tanto m’allietò in un dì di festa.

A ricordare sto di una promessa che le feci,

ma non per quel motivo scrivo adesso.

Mi raccontò di un posto splendido di sole e pace;

di un paradiso tutto suo, dove nascondere se stessa.

Una luce così intensa e soave

brillò nei suoi profondi occhi,

quando parlando mi si rivolse,

che subito me ne innamorai.

Qual desiderio mi preme in cuor

di correr sulla spiaggia di quel luogo;

di ritrovare lei, soltanto lei.

Per dimostrare a quella bimba

che non ho dimenticato.

E con un bacio suggellar la mia promessa.

 

Il poeta maledetto

 

Dei tuoi occhi – scritta il 9 giugno 1995

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Cos’è quella luce ch’è nei tuoi occhi?

Perché in questo silenzio fra te e me,

seduti su questa panchina,

sento il mio cuore

sussurrare il tuo nome?

Cos’è quella luce ch’è nei tuoi occhi

che offusca la luce di queste mille stelle

che su di noi respirano piano?

Un battito più forte

e il tuo nome è già sulle mie labbra.

Poi va lontano, portato via dal vento.

Ma ho bisogno ancora del tuo nome,

ho bisogno del tuo cuore

sulle mie labbra lasciate vuote.

Di quella luce ch’è nei tuoi occhi.

Di baciarti nel silenzio ch’è fra te e me,

seduti su questa panchina,

in una notte di mille stelle

che su di noi respirano piano.

 

Il poeta maledetto

 

Universo Infinito – scritta il 7 giugno 1995

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Di stelle sei gonfio

Universo Infinito.

In ogni tuo luogo

v’è luce d’immenso.

Ascolta un momento

me che non sono niente.

Tu che in un attimo

dai vita a galassie,

eterne nebulose,

meravigliose costellazioni;

regalami una stella.

Di modo ch’io possa

nasconderla in un cassetto.

Tenerla sotto il cuscino,

sognarla e baciarla,

darle il nome

della ragazza che amo.

 

Il poeta maledetto

 

La Paura – scritta il 7 giugno 1995

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Un rumore improvviso

un istante

poi tutto scompare.

Un minuto, un rumore.

Il cuore mi batte

più forte di un tuono

più veloce di un lampo.

Mi giro di scatto,

il viso stravolto.

E’ soltanto caduta una sedia.

Ve n’è ancora l’ombra in terra.

Il rumore è passato:

è soltanto un ricordo.

Però che paura

in quell’istante già vuoto.

 

Il poeta maledetto

 

L’albero – scritta il 4 giugno 1995

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Un albero senza foglie

è sempre un albero.

Ma nessun passero vi si riposa,

né tantomeno vi pone il nido.

Il vento soffia una melodia di pace,

ma per quell’albero è un leggero tocco.

Solo un ricordar cos’è che non ha.

I rami di quell’albero son bagnati.

Chiamala come vuoi:

rugiada, pioggia, resina.

Quell’albero piange.

Giuro che le sue perdute foglie

Ei piange.

Un cuore senza amore

è sempre un cuore.

Ma nessuna gioia vi si distende,

né tantomeno vi è sentimento.

Un cuore senza il tuo amore,

è un albero senza foglie.

Aspetta che un bocciolo rinasca su un ramo

e che il vento soffi una melodia d’amore:

il tuo.

 

Il poeta maledetto

 

Ale – scritta il 20 maggio 1995

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Qual rugiada di stelle,

il tuo profumo sulle mie palpebre chiuse.

Il tuo respiro dolce,

caldo sulle mie mani.

Il tuo viso nascosto sul mio petto.

I tuoi sogni me li porto via.

Li rubo tutti e scappo via.

Ma prima, lasciati guardare un pò.

Che meravigliose labbra hai.

Scappo via adesso,

o non lo faccio più.

Però prima ti rubo un bacio.

Uno solo!

Giuro che sto attento,

non ti sveglio.

Eccolo, un attimo.

Che dolcezza.

Tu sussulti,

ti giri verso di me,

sussurri: “Hai detto qualcosa?”

Ed io: “No. Dormi, che è ancora notte.”

Ti rigiri, sorridi.

Il segreto è mio e tuo.

 

Il poeta maledetto

 

La cicala e la formica – scritta il 20 aprile 1995

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Camminava una formica

per una strada di polvere e sassi;

con il sole che batteva forte, senza tregua.

Lenta lenta se n’andava

che qualch’alimento da portare a casa cercava.

Ma solo quando fu notte,

un aiuto della provvidenza ricevette.

All’ombra di un fungo,

i resti di un umano banchetto:

una mollica di pane.

Era contenta,

avrebbe camminato tutta la notte.

Ma il corpo era stanco,

e s’addormentò abbracciata a quel dono.

Sognò di cicale guerriere,

che volevano portarle via il dono.

E lei combatteva, ma le cicale erano tante.

Così alla fine capitolò.

Per il dolore che ne ebbe si svegliò,

accorgendosi di abbracciare il nulla.

Guardò in giro, ma non c’era niente.

“T’ho vista, sai?”

Cominciò una cicala,

che sdraiata su una foglia vicina,

si godeva la prima luce dell’alba.

“Dormivi abbracciata alla mollica di pane.”

“Poi hai cominciato a mangiarla.”

“E in un’ora l’avevi bell’e finita.”

Si rattristò la formica.

“Cosa mangeranno adesso i miei piccini?”

Si fece buia in viso e cominciò a piangere.

La cicala si commosse a tal punto che disse:

“Troppo mi fa soffrire il tuo penare.”

“Se una mollica di pane avessi,

te la darei,

per cancellare la tua sofferenza.”

Ma c’era stampata

in quell’espressione di pena,

tutta la rabbia

che le cicale guerriere del sogno,

avevano dimostrato.

La formica se ne accorse.

S’avvicinò alla cicala e le disse:

“Canta, ti prego.”

“Acqueta il mio dolore

col tuo splendido canto.”

La cicala lusingata

da quel così bel parlare

non seppe rifiutare,

e cominciò a cantare.

Andò avanti per ore.

Da armonioso che era,

il suo canto però si fece triste.

Anche la cicala si fece triste.

E l’ultima nota rimase incantata,

smorzata nell’ultimo suo respiro.

Quello stesso giorno,

i piccoli di formica,

mangiarono i resti della cicala,

morta d’indigestione,

per aver mangiato pane e bugie

in grossa quantità.

 

Il poeta maledetto

 

L’albero sempreverde – scritta il 10 aprile 1995

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Mi ricordo una collina in campagna,

dove andavo a salutare il sole al tramonto.

Lì in cima c’era un campo di papaveri.

E sotto le loro ombre,

andavamo io e te a fare l’amore.

Mi ricordo di una stradina,

che scendeva dalla collina

e arrivava a una fontana.

A quella fontana si abbeveravano i passeri.

E quando noi,

mano nella mano,

venivamo giù dalla collina,

correndo per la stradina,

loro volavano via.

Rifugiandosi tra i rami

di un albero sempreverde.

Nella corteccia di quell’albero

c’era inciso un cuore con due nomi.

Mi ricordo quella sera che litigammo.

mi voltasti le spalle tra parole

che ti dissi in un momento di rabbia

e che non pensavo affatto.

E te ne andasti via.

Corsi all’albero,

che volevo cancellare il cuore.

Ma non c’era già più.

Seduta alla fontana

c’eri tu che piangevi.

Mi ricordo una collina in campagna,

dove andavo a salutare il sole al tramonto.

Lì in cima, all’ombra dei papaveri,

la mia collera svanì.

Mi ricordo di una stradina,

che scendeva dalla collina

e si fermava ad un albero sempreverde.

Nella corteccia di quell’albero

c’è un cuore con due nomi,

che abbiamo inciso insieme quella sera,

e che nessuno ha cancellato più.

 

Il poeta maledetto