Grazie

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Come si fa a non dirle grazie?

Un pretesto ogni volta,

un nuovo premio, un commento,

un “vieni da me… Ho un post che

sicuramente ti interessa!”;

tutto perchè si possa sentire

il calore della sua presenza.

In questo gelido inverno del cuore,

le sue parole son carezze

tenere e calorose.

Ed anche se dopo, il turbinio di

quel che c’era e non c’è più,

si porta via sorriso, e leggerezza,

ella resta un raggio di sole

per riscaldare quello

che doveva essere amore.

Grazie Memole_751

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

grazie grazie grazie grazie grazie

cento, mille volte grazie.

Resta sempre come sei.

Sei l’essenza di quell’amore,

di quel rispetto, quell’aiuto,

quella donna,

che ancora il mio cuor si ostina

a pensare, di poter un giorno incontrare.

Davide

Lei

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Coloro di un sorriso

il passo dei tuoi giorni,

vibrando sul tuo viso,

lambendone i contorni.

Mi perdo nei tuoi occhi

profondi come il mare.

Colei che invan cercai rispecchi:

Una ragazza semplice, da amare.

Dedicata a Lei, che mi fa battere forte il cuore.

Chi è la Lei… non ve lo dirò mai! :-p

Il poeta maledetto

Un nuovo amico – Riccardo Cocciante – dedicata a Monica

Perdonate la mia tristezza, perdonate il mio essermi ritrovato spaesato,
come quando sei in mare e un’onda improvvisa, con una forza più grande della tua,
ti scuote, ti colpisce, ti travolge. Poi ti riprendi ma… non hai più punti di riferimento,
ti senti disorientato.
Così io perdo molto più che un’amica. Una confidente, una donna che mi ascoltava,
che mi dava consigli che non seguivo.
Una donna che mi parlava,
in un momento in cui avevo calato un muro tra me e il mondo,
una difesa, me afflitto, ferito, vinto.
Una difesa che mi rendeva solo.
Una voce, una guida, come molte altre ho ricevuto da voi.
Ma non è il numero, che rende ognuno di voi meno importante ai miei occhi.
Per un uomo come me, che ad un certo punto ha perso di vista
l’importanza, il valore di questa vita,
voi, come Monica, siete stati l’unico motivo per continuare a vivere.
Prima di voi tre volte, ho tentato di porre fine alle mie sofferenze,
ma dopo, leggendo i vostri blog, i vostri commenti ai miei post che,
non vi nego, a volte scrivevo solo per farmi leggere, o solo per leggervi,
dopo di voi, perso nel rispondere ai commenti, a volte dimenticavo
di voler morire.
Così voi, come Monica, mi avete dato quella forza in più
che in me è mancata. A voi e a lei devo la mia vita.
Chiamarvi amici è riduttivo,
nelle piccole cose, che erano la mia vita, mi siete stati sempre accanto.
A Monica ho dato dei consigli, gli stessi consigli che desideravo per me.
Ho donato quanto ho potuto, in cambio delle inestimabili cose che voi
avete donato a me.
Con lei va via un pò di quella forza.
Perdonate la mia tristezza nel perdere un’amica così importante.
Poi passerà, certo. Anche perchè so che lei starà meglio,
ed è quello che conta.
Perdonate il mio egoismo.
Monica perdonami, un bacio e un abbraccio.
Abbi cura di te.

Riccardo Cocciante > Margherita E Le Altre (Cd 2) (1997) > Un Nuovo Amico

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Non dico che dividerei una montagna
ma andrei a piedi certamente a bologna
per un amico in piu’
per un amico in piu’
perche’ mi sento molto ricco e
molto meno infelice
e vedo anche quando c’e’ poca luce
con un amico in piu’
con il mio amico in piu’
non farci caso tutto passa hanno
tradito anche me
almeno adesso tu sai bene chi e’
piccolo grande aiuto
discreto amico muto
il lavoro cosa vuoi che sia mai
un giorno bene un giorno male lo sai
da retta un poco a me
giochiamo a briscola
non posso certo diventare imbroglione
ma passerei qualche notte in prigione
per un amico in piu’
per un amico in piu’
perche’ mi tiene ancor piu’caldo
di un pullover di lana
a volte e’ meglio di una bella sottana
un caro amico in piu’
un caro amico in piu’
e se ti sei innamorato di lei
io rinuncio anche subito sai
forse guadagno qualcosa di piu’
un nuovo amico tu
perche un amico se lo svegli di notte
e’ capitato gia
esce in pigiama e prende anche le botte
e poi te le rida’
ah na na na na na
ah na na na na na na
(Instrumental)
per un amico in piu’
per un amico in piu’
per un amico in piu’
per un amico in piu’
capelli grigi si qualcuno ne hai
e’ meglio avremo un po’ piu’tempo
vedrai
divertendoci come non mai
ancora insieme noi
non dico che divederei una montagna
per un amico in piu’
ma andrei a piedi certamente a bologna
per un amico in piu’
ah na na na na na
ah na na na na na na
forse guadagno qualche cosa di piu’
un vero amico

Ciao Monica, lei luna.

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Con amicizia si indica un sentimento di affetto vivo e reciproco tra due o più persone dello stesso o di differente sesso, ma anche tra esseri umani ed esseri appartenenti al mondo degli animali. Insieme all’amore, è uno degli stati emozionali fondanti della vita sociale. In quasi tutte le culture, l’amicizia viene intesa e percepita come un rapporto alla pari, basato sul rispetto, la stima, e la disponibilità reciproca, che non pone vincoli specifici sulla libertà di comportamento delle persone coinvolte.
 
 Non camminare davanti a me,
potrei non seguirti;
non camminare dietro di me,
non saprei dove condurti;
cammina al mio fianco
e saremo sempre amici.
Anonimo cinese.
…nella solitudine, nella malattia, nella confusione, la semplice conoscenza dell’amicizia rende possibile resistere, anche se l’amico non ha il potere di aiutarci. È sufficiente che esista. L’amicizia non è diminuita dalla distanza o dal tempo, dalla prigionia o dalla guerra, dalla sofferenza o dal silenzio. È in queste cose che essa mette più profonde radici. È da queste cose che essa fiorisce….
Pam Brown
Credo in te, amico.
Credo nel tuo sorriso,
finestra aperta nel tuo essere.
Credo nel tuo sguardo,
specchio della tua onestà.
Credo nella tua mano,
sempre tesa per dare.
Credo nel tuo abbraccio,
accoglienza sincera del tuo cuore.
Credo nella tua parola,
espressione di quel che ami e speri.
Credo in te, amico,
così, semplicemente,
nell’eloquenza del silenzio.
Elena Oshiro
Lo splendore dell’amicizia
non è la mano tesa
né il sorriso gentile
né la gioia della compagnia:
è l’ispirazione spirituale
quando scopriamo
che qualcuno crede in noi
ed è disposto a fidarsi di noi.
R.W.Emerson
Ti voglio bene non solo per quello che sei, ma per quello che sono io quando sto con te.
Ti voglio bene non solo per quello che hai fatto di te stesso, ma per ciò che stai facendo di me.
Ti voglio bene perchè tu hai fatto più di quanto abbia fatto qualsiasi fede per rendermi migliore,
e più di quanto abbia fatto qualsiasi destino per rendermi felice.
L’hai fatto senza un tocco, senza una parola, senza un cenno.
L’hai fatto essendo te stesso.
Forse, dopo tutto, questo vuol dire essere un amico.
Anonimo

Non nascondere
il segreto del tuo cuore,
amico mio!
Dillo a me, solo a me,
in confidenza.
Tu che sorridi così gentilmente,
dimmelo piano,
il mio cuore lo ascolterà,
non le mie orecchie.
La notte è profonda,
la casa silenziosa,
i nidi degli uccelli
tacciono nel sonno.
Rivelami tra le lacrime esitanti,
tra sorrisi tremanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore.
Rabrindranath Tagore
Ogni amico
costituisce un mondo
dentro di noi.
Un mondo mai nato
fino al suo arrivo,
ed è solo tramite
questo incontro,
che nasce un nuovo mondo.
A.N.
Penso che nessun’altra cosa ci conforti tanto,
quanto il ricordo di un amico,
la gioia della sua confidenza
o l’immenso sollievo di esserti tu confidato a lui
con assoluta tranquillità:
appunto perchè amico.
Conforta il desiderio di rivederlo se lontano,
di evocarlo per sentirlo vicino,
quasi per udire la sua voce
e continuare colloqui mai finiti.
David Maria Turoldo
L’amicizia è come la musica:
due corde parimenti intonate
vibreranno insieme anche se
ne toccate una sola.
J. Quarles
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Odi et amo.
L’uno fa posto all’altro e viceversa.
In un infame gioco di rincorsi a perdifiato.
questa notte odio,
domani chissà… forse amo.
Scritto da : Davide | 19/07/2008
– – –
Frenetiche notti, se avessi con chi condividerle, con chi viverle.
Ma è mia maledizione restare solo e circondarmi di nulla. Invisibile, nell’ombra dell’anima mia, che triste vaga nei ricordi di ciò che più non torna.
Di quel che a cui presto verrà data fine.
Scritto da : Davide | 30/07/2008
– – –
I nostri difetti ci rendono unici. E l’unicità rende perfetti. Basta saper vivere e convivere con quel che si è. Se accetti te stesso, allora saranno gli altri, a doversi adeguare. Chi dell’unicità, fa la sua ragione di vita, cambierà il mondo, plasmando un nuovo modo di vivere, un nuovo modo di essere. E resterà nella storia, per sempre.
Scritto da : il poeta maledetto | 04/08/2008
– – –
Colui che ama i tuoi pregi, ama una parte di te, rinnegando l’altra.
Colui che ama i tuoi difetti, ama davvero.
Chi è perfetto ha il difetto di non avere difetti.
Se non vedo i tuoi difetti come pregi… come faccio a dire di amarti?
Di difetti ne ho tanti… La donna che saprà apprezzarli, sarà la mia compagna per la vita. Notte dolce Luna.
Scritto da : il poeta maledetto | 16/08/2008
– – –
Anch’io la rabbia cercai di far sbollire,
ma m’accorsi ch’era come tatuaggio.
Eppur tentai. Di cancellarlo tentai.
Ma alla seconda volta m’accorsi
che rabbia non era tatuaggio,
ma pelle.
E scolpite nel cuor mi bruciano ancora,
parole come fiamme e pensieri:
lei non sarà più lei,
e io, io non sarò più lo stesso uomo.
E questa guaina m’avvolge soffocando.
E il tempo non lenisce, nè fa dimenticare.
Conviverci e darle l’importanza d’un momento.
L’unica soluzione irrisolta.
Torna ad esser la tua nuova te stessa, riviviti.
Chi ti aiuta davvero sei soltanto te stessa.
Scritto da : il poeta maledetto | 21/08/2008
– – –
Di silenzi e d’occhi e cuore già parlai.
Scrivendo di parole inadeguate commentai.
Ed or sommo poeta, attore, commediante mi ritrovo
che simil versi usò per raccontar di come amore,
nutrirsi non è ingordo di parole.
Bensì di sguardi e del non detto ma pensato,
giacchè di brezza in mar spira il ricordo,
di citazione mia ed io rispondo.
Chiamato appello a suggellar verdetto,
silenzio, muto giudice perfetto.
Pensiero in triste pianto in cuore stretto,
discorso mai iniziato e già finito,
unica, tenue, vita
di un poeta maledetto.
Scritto da : il poeta maledetto | 27/08/2008
– – –
Una farfalla rossa volava instancabile tra i fiori, quando d’un tratto le arrivò alle antenne un pianto sommesso che la fece sobbalzare.
Che fatto strano, pensò, in un giardino, e impaurita si ruppe un’ala andando ad urtare contro un giovane limone.
“Ah, che sarà mai di me adesso! Non volerò più e di tristezza e solitudine morirò!”. E mentre si stava lamentando si ricordò del pianto appena udito e chiese al vento: “Chi stava piangendo prima di me?”. “Io!” Rispose una farfalla bianca con un’ala rotta. “Volavo in questo giardino e mi sono distratta… Guardavo quel buffo stelo senza fiore, e sono andata a sbattere contro il giovane limone. Ed ora che sarà di me? Non potrò più volare! E morirò di tristezza e solitudine!” La farfalla rossa ascoltò, poi disse: “Insieme, ci possiamo aiutare! Vieni! Abbracciami!”. E fu così che da quel giorno, abbiam farfalle un’ala bianca e un’ala rossa, che in ricordo di un abbraccio, riprendono a volare.
Scritto da : il poeta maledetto | 31/08/2008
– – –
Luna, ti aspetto.
Sii impaziente!
Scritto da : il poeta maledetto | 05/09/2008
– – –
Grazie infinite per il premio. A risentirci presto. Buonanotte e un bacio.
Scritto da : il poeta maledetto | 08/09/2008
– – –
Di blog in blog, me ne vado a curiosare,
in questa sera lunga di una lunga notte.
Se di un amico o amica, leggo quel che scrive,
perchè mi sia conforto in un momento,
in cui la vita ha perso sentimento.
Perchè mi sia d’aiuto in un momento,
in cui la vita non m’è che tormento.
E ti ritrovo così… In simili emozioni.
Scritto da : il poeta maledetto | 19/09/2008
– – –
per quanto riguarda l’ultima cosa che avevi scritto so che lo hai fatto per dire ” se occorre io ci sono anche con una semplice parola di sostegno” …
Ovvio che era per quello.
Vedi, conosco quel dolore, se che non passa, e so che mille parole non basterebbero a cambiare una virgola della situazione.
A più di 5 mesi di distanza, mi ritrovo a pensarci, a provare dolore e rabbia, a chiedermi perchè, se era colpa mia.
Poi mi sono reso conto che la lei che conoscevo, quella che avevo sposato, quella che viveva con me e mi amava, non esiste più.
E’ morta nel cuore di colei che ora ha preso il suo corpo, ed io sono morto nel suo cuore, nel momento in cui ha iniziato a stare con un altro. Ecco perchè i miei tentativi di riconciliazione (Io! Stupido Io!) sono falliti… Cercavo di ricostruire quel che non esisteva più. E pur sapendo che non riuscivo a crederle, ho voluto darle la possibilità di riconquistare la fiducia tradita, ma ha miseramente fallito con altre menzogne. E’ cambiata, è un’altra persona, ed è una persona che non mi piace. Io spero per lei, che la luce sinistra che ho visto nei suoi occhi, e il significato delle sue azioni, non siano quel che penso. Perchè se così fosse, non ha soltanto distrutto una famiglia, perso un marito, tolto un padre a suo figlio, essersi fidata di una persona bugiarda quanto lei, che l’ha usata come una puttana a gratis, essersi ritrovata dopo con un pugno di mosche. Ma per il non voler riconoscere il proprio sbaglio, attribuendo ad altri colpe sue, ha iniziato un cammino silente, di quelli che portano alla solitudine. Tante volte le ho teso la mano, senza che me l’avesse chiesta, troppe volte. Ora volto le spalle: chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Scritto da : il poeta maledetto | 25/09/2008
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E’ curioso come, gli amici animali siano sempre in grado di insegnarci un gesto d’umanità. Ho letto una volta, da qualche parte, ma non ricordo esattamente dove, una frase, che mi ha dato tanto da riflettere:
“il cane è quell’amico fedele, che ti vede esattamente, per quello che tu credi di essere”.
Se ci pensi, questa frase è un’inconfutabile verità.
Nei miei tempi bui ho invidiato, chi poteva permettersi il lusso, di specchiarsi in due occhi pieni d’amore.
Scritto da : il poeta maledetto | 04/10/2008
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Vorrei dirti che leggendo il tuo post mi son venute le lacrime agli occhi;
Vorrei dirti che sapendo della tua decisione di andar via mi son sentito stringere il cuore;
vorrei dirti che sono triste e addolorato del perdere un’amica importante qual tu sei stata nei miei momenti bui. E tu sai che sono stati tanti.
Ma ti dirò che sono contento per te.
Nella vita si devono fare delle scelte non facili, e tu hai fatto la tua.
Gli attimi di felicità di questa vita, sono così pochi che sarebbe un delitto non lottare per goderne appieno.
Che la vita ti sorrida sempre amica mia.
E che moltiplichi per un milione, tutte le cose buone che hai saputo e voluto offrire, e te le renda.
Davide
Il poeta maledetto
Scritto da : Davide | 12/10/2008
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Ciao amica mia.

Mi ricordo di te – 30 settembre 2008

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Mi ricordo di te,

una parola non detta,

una carezza non data.

Un tempo passato mai vissuto.

Mi ricordo di te,

di quel che non m’hai detto,

di quel che non hai fatto.

E seppur ho scordato chi sei

e il nome ch’io ti avevo dato,

mi ricordo di te,

di quel che non sei stata,

e di quanto, illudendomi,

io ti abbia mai amata.

Il poeta maledetto

Lacrime – 26 settembre 2008

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Avevo sempre creduto
che le lacrime nascessero dagli occhi.
Ma quando un dolore acuto m’ha preso,
nascosto nella parte più profonda del cuore,
ho provato a chiuderli, a non pensare a niente.
Ma a nulla è servito.
E ho capito che dolore e lacrime
non nascono da pensieri e occhi,
ma da sentimenti e cuore.

Il poeta maledetto

Per te – 23 settembre 2008

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Una notte ad aspettare che tu arrivassi,

mano nella mano con colei che doveva darti la luce.

Ad ogni spinta, spingevo anch’io, incitavo, confortavo, attendevo.

Fui il primo a vedere i tuoi capelli spuntare,

così sottili, che sembravano fili d’alghe bagnati dal mare.

Fui il primo a veder spuntare il tuo visino,

imbronciato, rugoso, come un pupazzetto di gomma.

Fui il primo, in barba a ostetrica e assistenti,

a correre nell’altra stanza, per assistere al tuo primo bagnetto,

al tuo primo aprir gli occhi su questo mondo.

Fui il primo, dopo che fosti stato misurato e pesato,

a tenerti in braccio, chiuso in quel fagottino.

E fui il primo a mostrarti ai nonni, che erano fuori ad aspettare.

Mi portarono via l’auto, e dovetti pagare per poterla riavere.

Perché nella foga di essere li in tempo,

avevo parcheggiato in ospedale, dove non si poteva.

E iniziai a proteggerti, contro tutto e tutti,

anche quando non ce n’era bisogno,

anche quando esagerando, mi scontravo con le nonne,

sicuramente con più esperienza di me,

ma lo facevo perché eri il mio dono più importante.

Fragile come una stella marina, prezioso come un brillante fra i diamanti.

E trascurai tutto per te.

Qualsiasi cosa che non eri tu o per te, non aveva un senso.

Perché nei primi giorni potessi essere li, a godermi istante dopo istante,

la tua crescita, come fosse visibile.

Sono stato li, nelle notti insonni, quando iniziarono i dolori al pancino.

Ero li a cullarti, a tenerti in braccio, quando tua madre piangeva e

non sapeva che fare per alleviarti il dolore.

E soffrivo con te, ma in silenzio, perché tu vedessi in me,

da subito, il tuo punto di riferimento.

Sono stato sempre al tuo fianco, sempre a un passo e non due.

Per essere il primo a correre, anche quando dai nonni,

qualcuna disse ch’io per te “non ci tenevo” e più d’uno le credette.

Ma a me cosa importava?

Mi bastava guardarti che mi guardavi, per dimenticare o non ascoltare

altre parole.

E tornai a cambiar lavoro, a cambiar luogo, perché ardentemente speravo

di poter assicurarti un futuro migliore e un presente felice.

E poi il lavoro di tua madre, opportunità e disagio.

Un aiuto importante all’inizio, quando io vivevo ancora

difficoltà sul lavoro. Un peso ogni giorno più grave poi,

giorno dopo giorno.

Quando le parole volavano come coltellate, ch’io ero un fallito,

ch’io non ero in grado di darti da mangiare, ma ch’io dovevo pure

esserti vicino pomeriggio presto, rinunciando al mio lavoro, e di sera

e di notte, perché lei potesse lavorare.

Ma cosa m’importava di sentirmi dire fallito?

Di non aver la possibilità di lavorare al meglio?

Di sentirmi dire che lei portava più soldi di me?

Io avevo la fortuna e la gioia, di poter essere con te,

prepararti da mangiare, nutrirti, cambiarti, lavarti, farti giocare,

addormentarti.

Ed anche se con lei, le cose andavano male, ogni giorno più male,

e non capivo perché, io guardavo i tuoi occhi, e rivivevo in te.

E poi gli zii… Altra battaglia persa. Contro un egoismo di chi,

con la filosofia di “Cazzi miei!”, ti confinava in un metro quadro,

perché la tua smania (lecita) di essere bimbo, poteva minacciar la casa

e i suoi oggetti; una casa non nostra, degli oggetti del cazzo, non nostri.

E mi sono scontrato con chi ci ospitava, si, irriconoscente;

per quella culla trasferita in cantina per far posto all’albero di natale;

per quei giocattoli tuoi, raccolti in una busta, messi sopra uno sgabuzzino;

perché per terra davano fastidio, perché se veniva qualcuno “che figura di merda era?”

La figura di merda, l’hanno fatta nei loro cuori. Nel momento in cui rifiutasti il loro

abbraccio. Quelle poche volte che te lo offrirono, così poche da contarle su una mano, in tanti mesi.

E tua madre lavorava, e tua madre stava zitta. Solo io ti difendevo, ma io ero un fallito,

e non avevo diritto di parlare.

Ma parlavo. E lo facevo per te.

E più tua madre lavorava, e più ti trascurava.

E più volte l’ho ripresa, perché “viveva del lavoro” senza pensare a te.

Ma la risposta era sempre la stessa: io dovevo star zitto, non avevo diritto di parlare.

E poi finalmente, una casa nostra, in affitto.

Dove tu potevi sbizzarrirti come volevi.

Mentre tua madre avrebbe, un pacco al giorno, messo a posto i vestiti, dopo ch’io avevo, messo a posto il resto.

Poi l’amara delusione… Quando certezza ch’era illusione, divenne disillusione.

Quel suo “vivere per il lavoro” era il suo “vivere per chi aveva al lavoro”

e furono chiari l’abbandono, i litigi, le parole pesanti, l’indifferenza, e l’unica, contro la quale m’ero battuto:

l’indifferenza verso te.

Quel “sopportarti” tra le pause di lavoro e lavoro, che non era solo lavoro.

E così, dopo dieci giorni di casa nuova, con quei pacchi ancora intatti,

quelli dei vestiti; quelli che avrebbero dovuto esser messi a posto uno al giorno. Se solo lei avesse voluto più

 tempo per te, più tempo per la sua casa, e un po’ meno tempo per lei e per l’altro, visto che ormai non le

 bastavano più i sei giorni su sette di lavoro, doveva vederlo anche nell’unico giorno che avrebbe potuto,

 dedicare interamente a te.

E fu dolore grande in quei giorni.

Ma il mio pensiero andò a te, e a quale sarebbe stato il tuo bene.

Ed anche se la odiavo per quello che aveva fatto a me, a te, a lei, alla casa;

con quel che rimaneva del mio cuore spappolato, impossibilitato a perdonare o dimenticare, le chiesi comunque,

 se voleva essere perdonata.

Per poterti ancora dare una madre,

Per poterti ancora dare un padre.

Ma lei rispose di No.

Perché lei, pensando a se stessa e a nessun altro, vedeva più “un futuro con l’altro, che con me”.

Quell’altro sposato, e con un bimbo di dieci anni, la cui premura fu, saputo che io avevo scoperto,

di chiederle se io, fossi andato ad avvisare sua moglie.

E così dopo il no,

ripensai a te, a quale poteva essere la soluzione migliore per te.

E così pensai che quella madre indegna, avrebbe potuto cambiare, per amor tuo,

standoti vicino come fino a quel momento non aveva fatto.

E con l’aiuto dei nonni, sarebbe potuta migliorare e con l’affetto di tutti e tre, non avresti sentito

 la mancanza di quel padre, che per il tuo bene, rinunciava a te.

Perdonami, se non ho potuto accettare la sua “proposta”:

– lei continuava la relazione con quell’essere sposato, continuava a lavorare per lui,

si teneva la casa, il cui affitto avrei dovuto pagarle io, io me ne andavo fuori dai coglioni,

ma restavo sempre in zona, perché quando lei doveva lavorare e quando lei doveva stare con lui,

tu saresti rimasto con me. –

Perdonami! Non ho avuto cuore di accettare.

Ho preferito, per il tuo bene, mettere fra me e te, fra lei e lui, ottocento chilometri,

perché lei capisse quello che ti aveva fatto, perché perdendo la vicinanza di un padre,

avresti ritrovato la vicinanza di una madre.

E sono stati giorni e mesi tristi, cupi. In cui non ricordo altro che non fosse dolore e sofferenza.

Intervallati dai momenti in cui potevo vederti e sentirti con un videofonino: l’unico contatto,

insieme a tabaccaio e pronto soccorso, con il mondo esterno.

Ma l’ho fatto per te.

E speravo che lei si pentisse, che lei capisse, cosa aveva fatto a me, cosa aveva fatto a te,

cosa aveva permesso che l’altro le facesse, alla luce del perdono che aveva chiesto alla moglie,

alla luce delle parole che aveva usato per lei, definendola una che cercava sesso, e l’aveva trovato,

che lui mai, le aveva proposto altro. E speravo

che lei si pentisse, di esser stata l’amante, con la quale lui tradiva l’amante,

con la quale lui tradiva la moglie (non è un errore: amante-amante-moglie).

Ho sperato che anelasse a riavere quel che distruggendo aveva perso, perché dalle macerie,

si potesse ricostruire.

Ma così non è stato.

E allora ho pensato di nuovo a te.

E ho chiesto a lei, piangendo (ma piangendo di rabbia e dolore, perché sapevo, speravo che avrebbe dovuto,

che lei, avrebbe dovuto), di riprovare a ricostruire quella famiglia, a cui tu avevi diritto.

E l’ho fatto per te.

E ho tentato di non pensare, visto che non riuscivo a perdonare.

E ho chiesto di sapere, solo per poter definitivamente accettare.

Per poter ricostruire, con base una fiducia, ch’era stata tradita, annientata, mortificata.

Ma ho ottenuto ancora menzogne, e “giochi di parole”

Prima di sapere che lei, in quell’unico giorno che avrebbe potuto dedicare a te,

si era data a lui, in una camera di un albergo ad ore.

Come una puttana.

E il dolore è stato più forte, più della prima volta,

scoprire che dopo averla cercata per ricostruire, aveva ancora tradito la mia fiducia,

con menzogne e verità non dette: gioco di parole “non sono mai stata in una – casa – con lui”.

In una casa no, in un albergo si, mia meschina bugiarda compagna per undici anni.

E più peso hanno avuto alla luce di ciò, le parole:

“Io volevo sentirmi donna!”, quando dimenticò di esser madre, e moglie.

E quello stesso giorno, l’incidente, a rincorrere chimere di dolori strazianti al cuore.

Un caso, o il destino, che noi siamo ancora qui a ricordare, come qualcosa di brutto,

ma non qualcosa di mortale.

Ed un’altra separazione.

E poi la data: il 22 di settembre; che si avicinava.

La data di una stanza di tribunale, dove mettere una firma, dove seppellire un matrimonio.

E per amor tuo,

ancora ho chiesto, che prima di quella data, riprovassimo a darti una famiglia.

Le ho detto: “Per amore di mio figlio, posso stare con una donna che non amo, e che non mi ama.”

Ma la risposta è stata No.

Perché io non devo dimenticare che la colpa è mia.

Si. Delle sue azioni, la colpa è mia.

Ma se servisse a darti qualcosa in più,

io la accetterei.

Ho chiamato un prete.

Quel prete che ci ha sposati, lo stesso prete che ti ha battezzato,

perché riuscisse dove io ho fallito, perché riuscisse a farle capire il male che ti ha fatto,

e quello che ancora ti avrebbe fatto. E perché lo facesse prima di quel 22 di settembre.

Ma anche la voce di Dio ha fallito.

E se ha fallito lui, come avrei potuto vincere io?

Ed il 21 di settembre, mi sono chiuso in me stesso.

Come un riccio.

Per capire cosa avrei potuto fare per te,

per poterti fare del bene.

E il 22 di settembre, chinando il capo ad una decisione non mia,

l’ho rialzato, con una mia decisione, quella di ridarti un padre:

abbandono la casa,

abbandono Novara,

abbandono il lavoro,

torno da te,

per esserti vicino.

Non potrò essere nella stessa tua casa,

ma non potrò negarti un abbraccio quando lo vorrai.

Lo faccio per te, solo per te.

E non sai quante altre cose farò per te,

figlio mio.

Il tuo papà.

Cuore di mammuth

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La quotidianità diventa,
ostacolo insormontabile.
La vita mi ha cambiato,
ormai io sono un altro.
E non più voglia ho
dell’essere padrone di uno spazio.
Ero leone e dominavo un territorio.
Violato fu, da attacco interno.
Anch’io di colpe ad altri ho riversato.
Poi mi son reso conto che non fu tradimento.
Ma congiura per spodestar potere.
Eppur non vi era dittatura,
ne potere, ne doveri.
Ma fu lo stesso progettata la mia fine.
Dovevo essere annientato.
Come nemico sanguinario e pericoloso,
dovevo essere sconfitto e spodestato.
Più che leone, io mi sentivo un mammuth.
Volto non all’attacco, bensi alla difesa
di quel che proteggevo.
Ed arma mia non erano artigli o zanne,
bensì la mole, a scoraggiare i malintenzionati.
Ma fu la mole mia arma, maggiore debolezza.
Giacchè bisogno avevo di esser coadiuvato.
E delegai, ed assegnai, e condivisi,
potere e compiti e idee e azioni, tutto per render
democratica una famiglia che credevo unita.
Che cosa fu, a scaturir quell’odio,
quel rancore, che meditava fine mia, io non saprei.
Pacifico son sempre stato, non invasivo degli spazi altrui.
Buono, mai aggressivo, tranquillo, calmo, mai iracondo.
Sentore avevo, quand’ero offeso,
ma per troppa fiducia mi difendevo,
solo dicendo frase presa da canzone:
“io non mi sento poi così cattivo”.
E la congiura prese il sopravvento.
Il mondo mio, crollò in un momento.
Accortomene ormai quand’era troppo tardi,
più non aveo terreno sotto i piedi
e caddi.
E fragorosa fu caduta, che per periodo lungo
in un abisso caddi.
Profondo assai e buio, e senza appigli,
mi ritrovai da solo,
a cader sempre più in basso.
Nel cuore di mammuth v’è leggerezza.
Quel che natura non ha saputo dargli,
ei spera, brama, desidera.
Ed io con esso leggerezza spero.
La mole che fu mia ora mi opprime.
Protegger più non devo territorio.
Questa corazza appesantisce il passo,
or che sicuro son di non ritorno.
Inutile aspettar oltre in cammino
cercare all’orizzonte forme amiche.
Più non v’è futuro per quel che fu passato d’amore.
Né più presente.
Così troncar passato che mi fu sconfitta,
ritorno a vita nuova:
nuove abitudini, nuove amicizie, nuova città,
nuovo lavoro, nuovo cammino.
La decisione è presa e sarà quella.
Abbandono terra in cui da solo sono,
per esser più vicino al mio bambino.

Paolo e Francesca

Questo post nasce per la necessità di rispondere al post di don Luciano

“Il vero amore – Paolo e Francesca”

 http://latraccia.myblog.it/archive/2008/09/14/inferno.html

 Come commento, non me lo accettava… in quanto troppo lungo:

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Premesso che la divina commedia non è la Bibbia;
premesso che nella Bibbia, non esiste passo in cui si parla di inferno
(e mi verrebbe difficile pensare come un Dio misericordioso e buono,
che non può fare il male, che può tutto, non sia capace di perdonare
e costringere i peccatori ad atroci sofferenze per l’eternità);
premesso che Dante è un poeta e non un profeta, e come uomo, ragiona
con la mentalità degli uomini del suo tempo;

Francesca era sposata, il matrimonio era stato deciso per “ragion di stato”.

La prima delle tre domande nella liturgia del matrimonio religioso recita:

siete venuti a contrarre matrimonio in piena libertà, senza alcuna costrizione,
pienamente consapevoli del significato della vostra decisione?

Essendo la “ragion di stato” e il matrimonio combinato delle costrizioni,
non solo il matrimonio di Francesca è nullo, ma non avrebbe dovuto essere celebrato.

Pertanto Francesca è nel giusto davanti all’Altissimo, e il fatto di
avere una figlia al di fuori del matrimonio (perchè il suo è nullo)
è perdonabile: in Genesi 4:1 Eva partorendo Caino dice:
“Ho prodotto un uomo con l’aiuto di Dio”.
Un figlio è sempre un dono divino, e non esiste peccato.

Inoltre Sant’Agostino dice:
” Tanto più fortemente noi vogliamo qualcosa quanto meglio conosciamo la grandezza
 della sua bontà e quanto più ardentemente ci diletta “

quindi, anche la passione tra i due, una passione e un amore che
sfidano la morte e proseguono oltre (quanto li invidio!), non potrebbero
esistere, se non previsti dal volere di Chi tutto vede e tutto può.

Diverso sarebbe stato, se il matrimonio di Francesca fosse stato celebrato
senza vizi di forma. Un classico matrimonio d’amore.

In proverbi 6:32-35 è scritto:
Chiunque commette adulterio con una donna manca di cuore;
chi lo fa porta la sua propria anima alla rovina.
Troverà piaga e disonore, e il suo stesso biasimo non sarà cancellato.
Poiché il furore dell’uomo robusto è la gelosia, ed egli non mostrerà
compassione nel giorno della vendetta. Non avrà considerazione per
nessuna sorta di riscatto, nè mostrerà buona volontà, non importa
quanto grande tu faccia il regalo.
– – –
Morale:
Francesca e Paolo salvi e riscattati;
il loro, amore vero da bramare e prendere ad esempio;
condanna del matrimonio “forzato”, sia esso per ragion di stato o altro;
condanna di chi sapendo, ha taciuto;
condanna di chi sapendo, ha celebrato.
– – –
Ultima considerazione personale:
un uomo sposato, la cui moglie commette adulterio, lui vuole perdonarla
e lei rifiuta il perdono, lui vuole riconciliarsi, una, due, tre volte
ed ottiene rifiuto, subisce separazione legalmente e fra tre anni divorzierà,
dopo aver subito tutto questo… Può risposarsi?
La chiesa dice no… Al danno, la beffa.
Io mi chiedo: Quale divinità accetterebbe di punire in questo modo un suo fedele?