Appassita rosa – scritta il 17 settembre 2008

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Rosa mia adorata, inebriato fui
profumo tu volesti cedermi.
E d’amore m’ebbriai.
Come mieloso nettare assaporai,
mangiai, goloso
senza mai saziarmene.
E pretesi e presi.
Di giorno in giorno,
a goccia a goccia presi.
Senza capire che veleno ess’era.
Senza capir che la mia anima ti davo.
E d’un bocciolo mi facesti dono,
perch’io più forte mi stringessi a te,
ch’io non sentissi quelle spine,
che il cuor straziando mi trafissero.
Ed appassita rosa, ora io ti guardo.
Ché liberar non posso la mia essenza,
avvinto a questo rovo,
di cuore e spine in unica presenza.
Tu che volasti via col primo vento,
veleno tuo lasciasti in me
ch’io ne morissi,
ma lentamente.
Più strazio ancor ti vuoi cibare,
com’io di nettare pretesi, volli.
Un grido mio, l’ultimo,
ti troverà nel vento,
ma non compiacerà le membra tua.
Gelare in petto quel che resta del tuo cuore sentirai.
Mia rosa, mia tomba,
un modo c’è ch’io possa liberarmi.
Un modo che rosa sapea ma rifiutava,
un modo ch’or tu distratta hai scordato.
Ma vinto, no, non sono.
Sconfitta tua, ch’abbandonasti amore.
Legato a me, appassito e vinto,
il cuore tuo tra rovi e spine mi lasciasti.
Leggera volerai, ma senza cuore,
non più timone avrai tra turbinii e folate.
Povera rosa mia, mia d’un eterno passato amata.
Le tue radici strinsi tra le mani
ed or le strappo a questa terra.
Io me ne vado in un ricordo,
quel che di rosa amai,
or più non v’è.
E me ne andrò col mio passato,
e il tuo futuro tra le dita.

 

Il poeta maledetto

Il giardino profumato – scritta il 6 aprile 1995

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Avevo una donna che mi amava davvero.

Avevo una donna che coltivava il mio giardino.

I fiori profumavano come in nessun altro.

E una rosa rossa,

la più bella mai esistita,

vi sbocciò il primo giorno di primavera.

Poi lei andò via, lontano.

E nessuno coltivò il mio giardino

che non fossero le mie braccia,

il mio sudore.

Ma dopo tanti sforzi,

dopo tanto duro lavoro,

la rosa rossa,

la più bella mai esistita,

appassì e perse il suo profumo.

Avevo una donna che mi amava davvero.

Avevo un giardino con una rosa rossa.

Poi l’avevo persa.

Ed ero rimasto solo,

stanco e sudato.

Un giorno lei ritornò.

Ma io non avevo più

un giardino da farle curare.

Allora le offrii il mio cuore,

e lei lo coltivò

con tutto l’amore possibile.

Da quel terreno fertile

nacque una rosa rossa,

più bella della rosa rossa

più bella mai esistita.

Vi sbocciò un giorno di primavera,

e mai più appassì.

Perché lei, non andò più via.

 

Il poeta maledetto

 

Un magnifico fiore – scritta il 29 aprile 1994

 

Un giorno in un luogo nascosto,

un’ape ha trovato una rosa.

Certamente non una rosa normale,

di quelle che si trovano nei giardini,

una rosa stupenda,

un esemplare unico.

L’ape ha deciso di succhiare il nettare

solo da quel fiore

per creare il suo miele.

Ma un giorno il fiore non c’era più,

era stato reciso.

L’ape sconsolata

ha succhiato il nettare da un’orchidea,

ma non è stata la stessa cosa,

ed è morta avvelenata.

E’ questo che capita a me,

come l’ape ho trovato un fiore magnifico,

quel fiore sei tu.

E non lasciare che ti colgano,

mi condanneresti a morte.

Perché su di un altro fiore,

dopo aver assaggiato te,

mi avvelenerei.

 
Il poeta maledetto

Appassita rosa – 17 settembre 2008

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Rosa mia adorata, inebriato fui

profumo tu volesti cedermi.

E d’amore m’ebbriai.

Come mieloso nettare assaporai,

mangiai, goloso

senza mai saziarmene.

E pretesi e presi.

Di giorno in giorno,

a goccia a goccia presi.

Senza capire che veleno ess’era.

Senza capir che la mia anima ti davo.

E d’un bocciolo mi facesti dono,

perch’io più forte mi stringessi a te,

ch’io non sentissi quelle spine,

che il cuor straziando mi trafissero.

Ed appassita rosa, ora io ti guardo.

Ché liberar non posso la mia essenza,

avvinto a questo rovo,

di cuore e spine in unica presenza.

Tu che volasti via col primo vento,

veleno tuo lasciasti in me

ch’io ne morissi,

ma lentamente.

Più strazio ancor ti vuoi cibare,

com’io di nettare pretesi, volli.

Un grido mio, l’ultimo,

ti troverà nel vento,

ma non compiacerà le membra tua.

Gelare in petto quel che resta del tuo cuore sentirai.

Mia rosa, mia tomba,

un modo c’è ch’io possa liberarmi.

Un modo che rosa sapea ma rifiutava,

un modo ch’or tu distratta hai scordato.

Ma vinto, no, non sono.

Sconfitta tua, ch’abbandonasti amore.

Legato a me, appassito e vinto,

il cuore tuo tra rovi e spine mi lasciasti.

Leggera volerai, ma senza cuore,

non più timone avrai tra turbinii e folate.

Povera rosa mia, mia d’un eterno passato amata.

Le tue radici strinsi tra le mani

ed or le strappo a questa terra.

Io me ne vado in un ricordo,

quel che di rosa amai,

or più non v’è.

E me ne andrò col mio passato,

e il tuo futuro tra le dita.

Il poeta maledetto