Una strada di luce – scritta 8 dicembre 1997

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Mai avevo visto un petalo,

che volato via dal suo fiore

tenesse intatto l’original sapore.

Mai avevo visto

brillar sì tanto le stelle

per fargli strada di luce nella notte

mentre rapito dal vento,

in sfida alla polvere,

cercava l’alba per un mondo migliore.

Mai avevo visto, splendore, gioia

e passione delle piccole cose.

Finché non vidi te,

mai m’accorsi che non avevo visto,

perché mai avevo aperto gli occhi.

Perché mai avevo aperto il cuore

né cercato quella strada di luce

che rapitami nel vento

mi portava al tuo amore.

 

Il poeta maledetto

 

 

Un magnifico fiore – scritta il 29 aprile 1994

 

Un giorno in un luogo nascosto,

un’ape ha trovato una rosa.

Certamente non una rosa normale,

di quelle che si trovano nei giardini,

una rosa stupenda,

un esemplare unico.

L’ape ha deciso di succhiare il nettare

solo da quel fiore

per creare il suo miele.

Ma un giorno il fiore non c’era più,

era stato reciso.

L’ape sconsolata

ha succhiato il nettare da un’orchidea,

ma non è stata la stessa cosa,

ed è morta avvelenata.

E’ questo che capita a me,

come l’ape ho trovato un fiore magnifico,

quel fiore sei tu.

E non lasciare che ti colgano,

mi condanneresti a morte.

Perché su di un altro fiore,

dopo aver assaggiato te,

mi avvelenerei.

 
Il poeta maledetto

Appassita rosa – 17 settembre 2008

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Rosa mia adorata, inebriato fui

profumo tu volesti cedermi.

E d’amore m’ebbriai.

Come mieloso nettare assaporai,

mangiai, goloso

senza mai saziarmene.

E pretesi e presi.

Di giorno in giorno,

a goccia a goccia presi.

Senza capire che veleno ess’era.

Senza capir che la mia anima ti davo.

E d’un bocciolo mi facesti dono,

perch’io più forte mi stringessi a te,

ch’io non sentissi quelle spine,

che il cuor straziando mi trafissero.

Ed appassita rosa, ora io ti guardo.

Ché liberar non posso la mia essenza,

avvinto a questo rovo,

di cuore e spine in unica presenza.

Tu che volasti via col primo vento,

veleno tuo lasciasti in me

ch’io ne morissi,

ma lentamente.

Più strazio ancor ti vuoi cibare,

com’io di nettare pretesi, volli.

Un grido mio, l’ultimo,

ti troverà nel vento,

ma non compiacerà le membra tua.

Gelare in petto quel che resta del tuo cuore sentirai.

Mia rosa, mia tomba,

un modo c’è ch’io possa liberarmi.

Un modo che rosa sapea ma rifiutava,

un modo ch’or tu distratta hai scordato.

Ma vinto, no, non sono.

Sconfitta tua, ch’abbandonasti amore.

Legato a me, appassito e vinto,

il cuore tuo tra rovi e spine mi lasciasti.

Leggera volerai, ma senza cuore,

non più timone avrai tra turbinii e folate.

Povera rosa mia, mia d’un eterno passato amata.

Le tue radici strinsi tra le mani

ed or le strappo a questa terra.

Io me ne vado in un ricordo,

quel che di rosa amai,

or più non v’è.

E me ne andrò col mio passato,

e il tuo futuro tra le dita.

Il poeta maledetto