Vento notturno – scritta il 14 aprile 1997

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Carezzarti i capelli,

le tue labbra sfiorar.

Questo mio desiderio,

or vorrei realizzar.

Come il vento notturno,

che filtrando le porte

ti si posa sul viso,

sul tuo corpo si fa coperta.

S’io potessi esser vento,

s’io potessi esser li

ti direi: “ti amo tanto”

e non: “mi manchi così”.

 

Il poeta maledetto

 

Il gigante – scritta il 28 settembre 1995

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Vento tra i capelli,

sguardo all’orizzonte.

Sulla spider corre

quasi fosse un campione.

Quelle eco vive,

sembra ancora di sentirle:

sei grande, sei il migliore.

E intanto il piede

schiaccia l’acceleratore.

Piange di gioia.

E’ il re della strada;

no! E’ il re del mondo:

Sei grande James Dean,

sei sempre il migliore.

E il piede

è ancora sull’acceleratore.

Arriva un’auto con senso opposto.

Quelle eco ancora:

Attento gigante!

Costui usurpa il tuo posto.

Gli si sgranano gli occhi.

“Non è possibile, devo impedirlo.

Devo fermarlo. Sono io il migliore.”

Un attimo basta.

Ventotto settembre, James Dean muore.

Eri grande gigante,

eri il migliore.

Sulla spider distrutta

va a tramontare il sole.

Un ricordo corre ancora

finché sparisce nel dolore.

Ventotto settembre,

anche i giganti diventano ombre.

 

Il poeta maledetto

 

L’orsa maggiore – scritta il 2 maggio 1995

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Eravamo due bambini che giocavano insieme.

Ricordo che rincorrevo i tuoi lunghissimi capelli.

Tu sorridevi e non ti fermavi mai,

ma io ero più veloce di te.

Avrei potuto bloccarti in un attimo,

ma era così bello vederti correre e sorridere.

Io avevo nove anni, tu cinque;

e seduti sugli scogli,

ci promettevamo già un futuro insieme.

Il tempo cambia il mondo, le persone.

E anche se esse non vogliono,

non possono opporsi.

Ma noi,

noi eravamo diversi.

Dopo dieci anni eravamo ancora li,

a quel cannocchiale rotto

per cercare di vedere l’orsa maggiore.

Tu dicevi: “non trovo la stella polare”;

ed i capelli ti coprivano il viso.

Io ti guardavo

con la passione di chi ama davvero

e ti dicevo: “L’ho trovata.”

E tu: “Dov’è? Dov’è?”

“E’ qui. Sei tu la stella più bella.”

Allora abbandonavi la scoperta del cielo,

e mi abbracciavi forte.

Premevi il tuo nasino sul mio viso.

Ti dicevo: “Sei tu la mia stella”.

Poi, nel buio, il bacio.

Il tempo cambia le persone nel profondo.

Ma noi cambiavamo il tempo;

eravamo più forti di lui.

All’apparir del giorno

venivo a prenderti a casa.

T’affacciavi sbadigliando,

con i capelli scompigliati.

Dicevi: “Un attimo. Mi preparo e sono da te.”

Ti aspettavo

scorticando il fusto di una mimosa

con un coltello che tu m’avevi regalato.

Ci mettevi sempre tanto tempo.

Ma dopo tanto tempo com’era dolce vederti.

Sulla soglia della porta,

le mani ai fianchi,

sembravi una principessa.

Mi prendevi in giro, dicevi:

“Allora! Ti muovi?”

Io ti guardavo, sorridevo,

e rincorrevo i tuoi lunghissimi capelli.

Tu sorridevi e non ti fermavi mai,

ma io ero più veloce di te.

E proprio come tredici anni prima,

finiva sugli scogli.

Questa volta a fare l’amore.

All’apparir di ogni giorno

venivo a prenderti a casa.

Ma una volta non t’affacciasti.

Le finestre, le porte;

tutto chiuso, tutto buio.

Quanti giorni ho aspettato

sotto quella finestra.

Ho consumato la corteccia della mimosa

e nello stesso tempo ho consumato

anche quella del mio cuore.

Mai più il cannocchiale

ha guardato l’orsa maggiore;

mai più la scogliera

ha udito lusinghe e promesse;

mai più la mimosa è fiorita.

Sono passati otto anni da quando sei sparita.

Ho continuato a volte, a venire sotto casa tua.

La speranza è l’ultima a morire.

Oltre al dolore.

Un giorno di ho rivista.

Stavo camminando per il corso,

una stradina stretta,

con filari d’alberi sui due lati.

D’incontro mi veniva

camminando in senso opposto,

una donna con una carrozzina.

Vi passo vicino, proseguo.

Mi fermo a riflettere:

la conosco, anzi, la riconosco.

Torno indietro, mi paro innanzi a lei.

Le dico: “Tu?”

“Io.” Mi risponde abbassando gli occhi

al bimbo che porta a spasso.

Continua a camminare.

Va via.

Vado a piangere alla scogliera.

Perché? Perché è così? Perché lei?

Resto lì tutto il giorno, e la notte.

Seduto su uno scoglio

con gli occhi fissi sui pugni chiusi.

Poi due mani m’accarezzano le spalle.

Mi volto.

“Tu?”

“Io.” Mi risponde.

“Ma…”

“Non dire nulla.” M’interrompe.

Mi stringe forte, la bacio.

“No! Sono sposata!”

La bacio ancora.

“No! Ho un bambino!”

Le dico: “Principessa.”

E la bacio ancora.

Lei piange.

Mi risponde:

“Il tempo cambia il mondo, le persone.

E anche se esse non vogliono,

non possono opporsi.”

La stringo più forte a me. Le dico:

“No! Stanotte no, amore mio.

Cambiamo il tempo.

Stanotte siam più forti noi.

Vedi l’orsa maggiore?

Stanotte è la stessa di tanti anni fa.

Essa è complice di tante nostre promesse,

adesso ce le viene a ricordare.”

“Non mi tiro indietro!” Risponde.

“Questa notte è nostra.”

Sulla riva del mare, facciamo l’amore.

Per tutta la notte.

Mi sveglio al mattino, che lei non c’è.

Corro a casa sua.

Le finestre, le porte;

tutto chiuso, tutto buio.

La mimosa è fiorita.

Sto un pò a guardarla e rifletto:

il tempo non cambia il mondo,

né tantomeno le persone.

Sono loro che cambiano il tempo

con sogni e desideri.

Spesso non si realizzano,

e diventano ricordi.

Ma a volte si realizzano,

s’animano in una notte.

Poi perdono colore e profumo,

diventano ricordi.

 

Il poeta maledetto