L’inverno – scritta il 3 novembre 1995

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Cade la neve lentamente dal cielo

ed ogni fiocco ricopre la terra,

ammantandola di un freddo e bianco vestito.

Tanto tempo ho trascorso alla finestra,

la guancia poggiata al palmo della mano.

Sognante ammiravo il passaggio,

strade, case, fontane, alberi,

sparire per effetto

di quella triste e lenta magia.

Vedevo desolazione ma sapevo,

che sotto quel mantello

c’era ancora la vita.

Cade la neve e sono ancora alla finestra.

Da quanto tempo?

Non saprei dirlo io stesso.

Cade la neve e sento il cuore tremare,

mi si ghiaccia nel petto

e comincio a star male.

Prima o poi finisce,

il sole deve tornare.

Cade la pioggia lentamente dal cielo,

ed ogni goccia ricopre la terra,

inondandola di un freddo

e argenteo vestito.

Tanto tempo ho trascorso alla finestra,

la guancia poggiata al palmo della mano.

Sognante ammiravo il paesaggio,

strade, case, fontane, alberi,

sparire per effetto

di quella triste e lenta magia.

Vedevo desolazione ma sapevo,

che sotto quei torrenti

c’era ancora la vita.

Cade la pioggia e sono ancora alla finestra.

Da quanto tempo?

Non saprei dirlo io stesso.

Cade la pioggia e sento il cuore annegare,

mi si affonda nel petto

e comincio a star male.

Prima o poi finisce,

il sole deve tornare.

Tornano i ricordi, lentamente dai sogni.

Ed ogni volta che sogno,

mi riportano alla realtà.

Tanto tempo ho trascorso alla finestra,

la guancia poggiata al palmo della mano.

Sognante ammiravo i suoi occhi,

le sue labbra, le braccia, le gambe, i capelli,

la vedevo poi sparire

per effetto di una triste e lenta magia.

Desolato restavo in silenzio,

ma sapevo che quel vuoto

lasciato da lei tutt’intorno,

prima o poi sarebbe stato riempito.

Ero sicuro che sarebbe tornata,

un giorno l’avrei riabbracciata.

Sogno ancora, alla finestra affacciato.

Da quanto tempo?

Non saprei dirlo io stesso.

Ogni giorno pioggia e neve

sento nel mio cuore

infreddolito anche dal vento.

Prima o poi finisce,

il sole e lei devono tornare.

Ma in questo inverno infinito,

quanto devo ancora aspettare?

 

Il poeta maledetto

 

Noce di cocco – scritta il 21 febbraio 1995

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Occhi di ghiaccio, viso freddo e serio.

Coperto da una corazza durissima,

che il vento non penetra;

che la pioggia non penetra;

che nessuna lama scalfisce.

Sei come una noce di cocco,

che nasconde la sua parte migliore.

Il fiore che sboccia dentro te,

appassisce e muore prima di nascere.

Occhi di ghiaccio,

quante parole non pronunciate.

Morte nel silenzio di quelle labbra.

Quanti pensieri spezzati,

consumati nel fumo di una sigaretta.

Noce di cocco fredda e muta.

Coperta da una corazza durissima,

che il vento non penetra;

che la pioggia non penetra;

che nessuna lama scalfisce.

Sei come due occhi di ghiaccio,

che nascondono la loro parte migliore.

Un sorriso sperato,

consumato nel fumo di una sigaretta.

 

Il poeta maledetto

 

Primavera – scritta il 10 febbraio 1995

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Fiorellino di primavera,

nascesti quando ancora faceva freddo,

ma tenesti duro, e non ti lasciasti andare.

E il bel tempo è venuto,

e il tuo cuore è sbocciato.

Dal tuo corpo è nato un frutto

che da acerbo è diventato maturo.

Ed ora fiorellino, dammi il tuo frutto maturo.

Fiorellino mio, fatti baciare.

 

Il poeta maledetto

 

La luce – scritta il 30 gennaio 1995

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E fu buio su tutti noi.

Il freddo avvolse i nostri sensi.

Ci addormentammo senza sapere

se e quando ci fossimo svegliati.

L’ultima parola che ricordo

fu quella del capitano che diceva:

“ibernazione”.

Sognai di essere da solo,

e di camminare avanti.

Ma avanti c’era il nulla,

tutt’intorno era nulla,

eppur continuavo ad andare avanti,

anche se non riuscivo

a vedere le mie mani, le mie gambe.

Tremiti improvvisi

assalirono il mio corpo.

Cominciai a sudare e non avevo mani

per asciugare il sudore

e non avevo nemmeno un corpo

che avrebbe potuto sudare.

Ero li, anzi, pensavo di esser li,

ma in realtà era il nulla

e anch’io ero il nulla.

Pensai che mai più

sarei uscito da quel buio,

da quel vuoto

che il nulla mi creava intorno.

Poi finalmente nacque la luce.

Apparì piccola

come la fiamma di una candela

e s’ingrandì sempre di più

uccidendo il nulla.

E tutt’intorno fu la luce.

Il capitano sorrideva.

Il salto nello spazio

alla velocità della luce

era perfettamente riuscito.

L’astronave adesso

scivolava lenta nel cosmo

un pò più in là di Mizar.

Il ricordo del nulla spariva,

mentre negli occhi dell’equipaggio

rinasceva la luce.

 

Il poeta maledetto