Il suonatore di flauto – scritta il 12 luglio 1995

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Sul sentiero polveroso

andava sicuro e lento,

il passo di un vagabondo.

Accompagnato egli era

in ogni movimento

dalle note del flauto che lui suonava,

e che dal vento sembrava suonato.

Nei suoi occhi si vedeva il cielo,

e nel profondo di quel cielo

una luce splendeva,

più del sole di mezzodì.

L’aria era afosa e il caldo insopportabile.

Decise allora di riposarsi all’ombra di un albero.

Come un bocciolo di rosa che s’apre

e tutt’intorno inebria l’aria del suo profumo,

Così le note del suo flauto

diffondendosi tutt’intorno,

inebriavano le foglie dell’albero,

i sassi del polveroso sentiero,

i fiori del prato.

E tra i verdi fili d’erba

prima una formica, poi un’altra,

poi un’altra ancora,

e poi migliaia, milioni di formiche,

si fermarono ad ascoltare.

Il suono di quel flauto,

in ogni nota più bello,

più profondo;

in ogni nota più sogno,

non si fermò che a sera.

Il sole era già tramontato,

mentre la luce negli occhi del vagabondo

brillava ancora come un diamante.

Si alzò in piedi e riprese il sentiero.

Le formiche, innamorate, lo seguirono tutte.

Passava il tempo e il flauto taceva.

Nella tarda notte,

prima una, poi un’altra,

poi un’altra ancora,

e poi migliaia, milioni di formiche,

tutte lasciarono il sentiero.

Tutte tranne una,

che seguiva ogni passo del vagabondo

con mille dei suoi.

Passava il tempo e il flauto taceva.

La formica aspettò fino all’alba:

“almeno un’altra nota,

un’altra canzone per me suonerà”

si ripeteva ad ogni mille passi.

Ma il flauto taceva e lei

si fermò in mezzo al sentiero.

Il vagabondo continuò il suo cammino

sparendo dietro una collina per sempre.

Il vento un giorno portò una melodia da lontano

che diffondendosi tutt’intorno

inebriò le foglie dell’albero,

i sassi del polveroso sentiero,

i fiori del prato.

E tra i fili d’erba

prima una, poi un’altra,

poi un’altra ancora,

e poi migliaia, milioni di formiche,

si fermarono ad ascoltare

le note del flauto di un vagabondo,

che seduto sotto un albero,

suonava per gli uccelli migratori.

Mentre tutte sognavano ad occhi aperti,

mentre il vento andava sparendo,

una formica piangeva,

ricordando qualcuno che aveva amato,

ricordando il cielo ch’era nei suoi occhi,

e la luce che brillava in quel cielo.

Pianse a lungo la formica

e una sua lacrima cadendo

si tramutò in diamante.

Lo raccolse e subito corse sul sentiero.

Arrivò giusto nel punto in cui

aveva abbandonato il vagabondo,

e la dolce melodia finì.

Il diamante si sciolse ritornando lacrima

ed affondò nella polvere del sentiero.

Un altro diamante proveniente dal cielo:

una stella cadente,

precipitò sulla collina ch’era li davanti.

Nel bagliore svanente

apparve l’immagine del vagabondo.

Egli la guardò, le sorrise.

Poi si voltò e riprese il suo cammino.

La formica con il cuore traboccante di gioia,

questa volta affrettò i suoi passi e lo raggiunse.

Tra le note del flauto,

il vagabondo e la formica si tramutarono in stelle.

Nel cielo azzurro e senza luna

brillò da quel momento

una costellazione nuova.

Quella costellazione scorsi un giorno nei tuoi occhi

e t’assicuro che brillava come un diamante

nel sussurro d’amore di due stelle.

La melodia dei tuoi gesti

come le note di un flauto incantato

diffondendosi tutt’intorno,

m’inebriavano il viso, gli occhi, le labbra.

Avrei seguito il tuo passo con mille dei miei.

Mai avrei staccato il mio destino dal tuo.

Mai avrei abbandonato il tuo cielo.

Ma la costellazione ch’era nei tuoi occhi

affievolendosi, lentamente sparì.

Un dì che non ricordo,

la dolcissima tua bocca,

fonte di melodia quale flauto incantato,

più non proferì parola.

E mi lasciasti solo,

costellazione di una stella unica.

 

Il poeta maledetto

 

Vagabondo – scritta il 4 febbraio 1995

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Ho vagabondato per il mondo

per dimenticarti,

sogno magnifico e irrealizzabile.

Ho camminato di giorno e di notte

su strade di pietra e di fango.

Ho valicato monti

lisci come lame di coltelli,

affondando a volte

nella neve fino alle anche.

Ho guadato fiumi

le cui acque vorticose

avrebbero impensierito

perfino le loro stesse creature.

Ho attraversato il deserto sconfinato,

andando avanti per giorni e giorni

sperando che quella fiammella

si estinguesse nel profondo dei miei occhi.

Infine ho solcato l’oceano

in tutta la sua lunghezza,

immergendomi nel più profondo degli abissi,

per dimenticarti.

E quando finalmente vi ero riuscito,

ho ricordato il tuo sorriso

ed il mondo, m’ha gridato il tuo nome.

 

Il poeta maledetto