Ali di farfalla guadagnate strisciando,
o albero con frutti e fiori
guadagnato germogliando.
Natura insegna,
e regola.
Che d’un miglioramento sempre ambìto,
arrivi infine a coronare un sogno,
una vita.
Ed una nuova vita a crescere e comprendere,
che scopo ultimo era quello.
Ma d’eccezione, uomo, o donna,
al mondo esiste e innaturale.
Giacché del peggio un sogno coronare,
una vita.
Ed una nuova vita, a crescere e distruggere,
quel che di buono era rimasto.
E cedere all’inganno, oscuro fiore del male.
Che parassita di se stesso resta.
Così, lei tramutò se stessa.
E non capendo dal principio quella fine,
si ritrovò a giacere tra le spine,
albero che di fior carico, in frutto convertito,
si ritrovò poi seme, perduta terra, inaridito.
Ed ali di farfalla avea,
ma migrar da fiore a fiore fu condanna.
E ritornò a strisciar parole gravi,
maledicendo d’altri, gravi colpe.
Povera carnefice!
Di sua rovina inconsapevolmente artefice.
Parole a fiumi scorreranno,
come da taglio sangue, sgorgheranno.
Vermigli d’odio e di rancore.
Finché giaciglio pallido di luna in mare,
posa, stanca di lottare,
t’accorgerai che colpa non esterna
è da cercare.
Tu,
vittima del niente,
macellaia di vite.
Meschina fine d’ali e volo,
ritornerai alla terra a germogliare ancora.
Ma storpia pianta resta,
d’un pianto falso e di tempesta,
che modellando addosso
Ti copristi.
Giorni e mesi e anni saranno, tristi.
Perché bruco in farfalla è ben accetto.
Ma chi coprir si vuole di ragione,
fugando in altri, e colpe e torti,
solo, resta.
Ricorda, mio passato,
Mia farfalla amata:
J’accuse! Continua nel tuo canto.
Ma quando metamorfosi scorsi nel tuo pianto,
voltai le spalle.
E a vita ritornai,
lasciandoti sbiadire in un tramonto.