Potrei parlarvi di…

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Scrivere per scrivere qualcosa.
Nulla programmato.
Aprire una finestra sul pc per scrivere qualcosa,
ma cosa?
Ne avrei tante da scrivere.
Il blog del poeta è nato per questo…
Per scriver principalmente dei miei sfoghi.
Ed oggi più di ieri e ieri più di ierl’altro.
Potrei scrivere ancora di lei.
Già. Di quella lei che perse il mio abbraccio
per cercarne di un altro.
Di quella lei che mi disse di non veder più
un futuro con me.
Di quella stessa lei che rifiutò il mio perdono
tre giorni dopo.
Di quella stessa lei ch’io stupido cercai,
dandole modo di capire di essere ancora innamorato.
Dopo tutto quello che aveva fatto.
Di quella stessa lei che si fece trovare,
senza troppo entusiasmo,
e venne da me per riprovare,
volando su aereo e portando con se menzogna.
Tre giorni di paradiso, tre giorni d’inferno.
Trattato come meritavo: da idiota.
Un idiota che per il suo bene non doveva sapere;
perchè altrimenti si rischiava di far saltare il ritorno.
Di quella stessa lei, che ancora chiamai,
per farla salire ancora insieme a mio figlio.
A quella stessa lei che dissi: “ho altre nella mia vita”
solo per veder quanto fosse alta la sua gelosia,
quanto fosse grande la sua voglia di tornare,
di fare per me follie.
Potrei parlarvi di lei,
di quando poi ingenuamente mi disse,
che fino a quel momento, perfino quando
stavamo insieme per riprovare,
per ridare e riconquistare fiducia,
mi mentì, mentiva la donna, la pelle, la bocca,
l’animo, il suo cuore.
E schianto grosso fu.
Sentirsi tradito una seconda volta.
Potrei parlarvi di lei, si.
Di quella stessa lei che ancor ieri chiamai.
E voce meccanica in contrasto col cuore,
le chiesi in proposta se voleva tornare.
Prima che fosse più tardi ancora.
Prima che un giorno non troppo lontano,
si decidesse del nostro futuro,
ascritto negli atti di un tribunale,
come la fine di un condannato.
Potrei, si,
parlarvi di lei,
di come credevo che a quella proposta,
ancora una volta facesse salti di gioia,
di come impaziente l’avevo desiderata,
che non mi facesse finir di parlare,
che mi dicesse da subito si
e non di quel freddo: “ci devo pensare”.
Potrei parlarvi di come anche oggi,
chiamata io l’abbia per chiederle ancora,
se sciolto quel nodo che è il mio destino,
mi liberava o condannava per sempre.
E ancora a rincorrer telefono e dita,
ancora quel numero a digitare,
e ancora una volta sentirla parlare.
Quel tono di sfida, di donna ferita,
colei che accontenta di regalar la sua voce,
e un favor ti concede poterla ascoltare,
perchè più importanti, lei, cose ha da fare.
Piuttosto che cedere a un innamorato marito,
di un matrimonio salvare apparenza e destino.
Di un figlio a cui dare una madre e anche un padre,
dopo aver dato, una madre e un amante.
Di lei,
potrei parlarvi di lei.
Di come adirata al telefono disse:
“al punto in cui siamo, tornare indietro non possiamo.”
Di come dimentica di quanto stavo facendo,
e di quel che aveva fatto,
non si accorgeva che un nuovo inizio le stavo dando.
E di come mi disse, dopo ch’io l’avevo “ferita”
dicendo che lei per me niente aveva fatto,
dopo quel ch’è successo per ritornare insieme.
Di questo matrimonio che in cuor suo è seppellito
e di come io torni stupidamente a scavare,
per ridargli una vita, un nuovo sole sperare.
E di come per sempre,
continuando ad urlare,
abbia chiuso il telefono,
mentre voce mia in pianto,
continuava a parlare.
Potrei, potrei.
Potrei parlarvi di questo.
Ma a che serve parlare?
Non si può dimenticare,
ma si deve reagire.
Proferita o subita,
bisogna accettare
una volta per tutte,
la parola fine.

Maledetto me

Dimenticar… Come si fa? – 30 agosto

 

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 Mai un attimo ho creduto, di poter dimenticare quanto fa male.
Ho sperato di poterlo fare. E nel sorriso di una lei mi sono perso.
E poi un’altra e un’altra ancora, a non pensare.
Ma ad ogni volta ritrovar me stesso.
Forbici e capelli, tagli e ritagli e continuano a crescere.
E come galleria di buio fondo, ch’era una volta rischiarata e calda.
D’una coperta d’una piazza in due e folla e gente a reclamar d’amore
che briciola dimenticata, giammai si lasciava.
Dov’è quel canto ch’io cantavo in coro e voce tua? Dov’è?
Dove riparerò mie membra a questo ciel che in notte mi batte?
E confonde pianto suo e mia pioggia, su un viso che vorrebbe quiete e pace,
d’un cuore che vorrebbe la sua luce.
Il dubbio mi uccide, il contrasto mi rode, l’orgoglio mi batte, ferita mi rugge.
Il nome mio grido da solo, perdendo sul riflesso d’uno specchio,
alone in cui con dito ho scritto t’amo: il tempo ch’è durato e poi sparito.
Lo stesso del tuo amor sulle mie labbra. Ti odio, ti amo.
Vorrei sparire e perdermi per sempre, per sempre ritornare e dimenticare.

Il poeta maledetto

Spiga di grano – 29 agosto 2008

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Natura non potea nuocere me, spiga di grano.

E vento e pioggia e fulmine e fuoco,

a tutto sopravvissi.

Maligna e delicata mano venne per recidermi,

e in lei m’abbandonai,

del tocco suo, io mi fidai.

In lei vedevo nuova vita,

illuso di falcetto e mano,

il mondo mio furon le sue dita.

E dolore e morte.

Ma chicco abbandonai

che speme fu di ritornare al sole.

Ed or mi trovo qui a raccontare,

rinato in fiume d’oro,

la mia vita nel vento abbandonare.

Il poeta maledetto

E il destino bussò alla mia porta – 28 agosto 2008

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Fu un attimo.

Limpido cielo rimirare,

caldo sole da godere,

fresca aria respirare.

Poi scura tenebra e tremare.

D’un freddo che nel cuore

prese ad albergare.

Tempesta, burrasca,

panni stesi d’improvviso a bagnare.

E indaffarate massaie correre a riparare.

Finestre battenti a chiudere,

e balconi e verande a ritirare.

Ma raggio di sole,

in su le nuvole tornò a bussare.

Così squarciata oscurità

di passo a luce ritornò a lasciare.

E fu calore e gioia

e vita da godere.

D’un caldo che un sorriso

fece ritornare.

Così bagnata via riprese a camminare,

città deserta in riparo,

tornò ad uscire, a vivere, a sognare.

Un attimo fu.

Vita qual brezza,

leggera, calda da godere,

frizzante monotonia da assaporare.

Poi scura tenebra e tremare.

D’un freddo che nel cuore

prese ad albergare.

Tempesta, burrasca,

occhi al vento d’improvviso a bagnare.

Non un sorriso ci fu a riparare,

Una carezza, una parola.

Balconi e finestre chiuse,

la vita mia nascostasi a tremare.

Di tenebra maligna, e solitudine,

rancore e odio e miseria d’animo,

senza accorgersene si prese ad ammalare.

Ma raggio di sole,

alla mia porta venne a bussare.

E avea occhi di cielo,

e spalle di colline morbide

di frutti cariche, da assaporare.

E pelle profumata di fiori di campo in distese,

su cui correre e volare.

E labbra di fuoco in fiume e rapide

da lasciarsi catturare,

e trasportare e fino al mare arrivare,

e li perdersi e naufragare.

Così parlò lei,

e melodia fu

d’usignoli al mattino

e cinciallegre a mediana.

Ma quel che disse

ripeter non saprei.

Giacche già m’ero perso

tra cielo suo e suo mare.

Poi si voltò e petali di rose

vidi ancheggiare.

E bruna pelle

accarezzata dal sole,

su fiumi d’ortensie e malva

vidi scivolare.

Piano, lento,

perché non fosse troppo breve,

il tempo per poterla eternamente ricordare.

E il suo profumo m’inonda ancora,

di mossi capelli i miei pensieri avvolge.

E fu quell’attimo a bastare

alla mia vita nuova origine dare.

E rivoluzione mi ritrovai,

di quel sole, quella luce anelare

e cominciare a girare.

Fu lei, destino mio,

un’ora fa,

Alla mia porta a bussare.

Il poeta maledetto 

Premi – 27 Agosto 2008

In data 3 agosto 2008, ho ricevuto i seguenti premi:

Premio A la Luz Interior  e   Premio Abbraccio

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da parte di: Michela    http://michelabuongiorno.myblog.it/

Premio A la Luz Interior  e  Premio Abbraccio
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da parte di: il5maggio   http://mammola.myblog.it/
Inoltre ricevo da lei, anche questo fiore di Cardo:
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Infinite grazie per la fiducia accordatami. Ch’io abbia sempre la forza per non deludervi mai!
Un abbraccio e un bacio ad entrambe.
Il poeta maledetto

Una nuova, vecchia storia 3 – Nessuno tocchi Caino!

Abele è una comparsa. Serve solo a dare maggiore risalto a Caino che è il vero protagonista della storia.
La storia è una metafora. Non me ne vogliano i seguaci di varie religioni, ma, per esperienza personale e dopo innumerevoli anni di studi di varie religioni, ho scoperto non solo che la fonte è unica, ma che tutte le religioni, tutti i miti, tutte le leggende, non sono altro che insegnamenti cifrati, posti sotto forma di racconti o storielle, per essere appresi meglio da menti inferiori a quelle di coloro i quali le hanno create.
Insegnamenti e consigli di saggezza unica, che ci servono da guida, per il poter vivere meglio. Racchiusi in testi considerati sacri, o miti e leggende.
Così la storia ci mostra il “sollevamento” ovvero il lavoro nel vivere sfortunato (Caino), che è in contrasto con la vanità effimera, il soffio che passa in fretta (Abele), dell’essere fortunato e del vantarsene, andando in giro a testa alta.
Il consiglio era, non invidiare fortuna e vanità, e non ti crucciare del lavoro che a volte non da i frutti sperati, perchè anche se ti senti sfortunato, finché agisci bene, potrai andare in giro a testa alta:
«Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto?»
Se ti lasci prendere da invidia e sconforto, sbaglierai e cadrai:
«Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo»
Così non è stato. Caino reagisce, si piega al non agire bene, è per questo viene maledetto.
E i suoi discendenti porteranno questa maledizione.
Ma la maledizione fa parte del progetto iniziale, del segno che verrà dato.
L’uomo è fallibile e può sbagliare, ma non tutto è perduto. Anche nel momento peggiore, si può ancora rimediare.
«Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? 14 Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere»
«Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!»
Ricapitoliamo:
Quello che sembrava il racconto del primo omicidio, diventa un consiglio su come affrontare le difficoltà e superare i momenti difficili, cercando di evitare l’invidia e la rabbia.
Lavorerai e non sempre quello che farai ti ripagherà come si deve.
E ti sentirai sfortunato vedendo chi senza troppo impegno e con un pizzico di fortuna otterrà più di te e se ne vanterà.
Ma non abbatterti per questo, potrai girare a testa alta finchè sarai onesto. Perchè chi si vanta della propria fortuna, si vanta di qualcosa che in un soffio può finire.
Non cedere all’invidia e non abbandonare la tua dignità.
Ma se ciò dovesse accadere, se cederai, se perderai la tua correttezza, allora oltre ad esser sfortunato sarai anche maledetto.
Ma puoi ancora ottenere il perdono. Puoi ancora risollevarti.
Quando tutto ti sembrerà perduto, otterrai un segno che le cose cambieranno e…
Nessuno toccherà Caino.

– – –

Questo consiglio, è anche un monito. E l’ho scoperto in un momento della mia vita in cui, uno che… guarda caso si professa maledetto, dopo esser caduto nell’abisso della disperazione per esser stato sfortunato, tradito, aver invidiato e per questo esser caduto ancora più in basso,
ha ricevuto la reale prova (nei giorni che dividono questo post dal precedente, manco a farlo a posta), di come l’invidiata fortuna di altri, sia effimera e possa svanire da un momento all’altro.
Questo il messaggio che io personalmente ho ricevuto. Ispirato da chi… Non saprei dirverlo.
Vi lascio il mio messaggio personale:
La vita è un castello, fatto di successi e di crolli. Godi dei successi, non disperare nei crolli, perchè mai tutto è perduto davvero.
La rivalsa arriva sempre, quando la tua opera è basata su duro lavoro costruito nel tempo e non su effimera, vana fortuna.

A voi che leggete, dedico il mio consiglio, i miei errori, la mia personale esperienza vissuta.

Il poeta maledetto

Una nuova, vecchia storia2 – Ora sii maledetto!

Partiamo con il testo integrale della storia:

Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore». 2 Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo.
3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6 Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo». 8 Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9 Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». 10 Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11 Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. 12 Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». 13 Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? 14 Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». 15 Ma il Signore gli disse: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato. 16
Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.”

Questa è la storia che molti conoscono, di quello che dovrebbe essere il primo omicidio della storia… Se non fosse per alcune piccole cose.

Prima fra tutte il nome di Abele:

“hebel” vuol dire “soffio”, “vento”. Abele porta questo nome che indica la sua morte repentina; egli passerà su questa terra come un soffio. La stessa espressione è utilizzata in Qo 1, 1: “Hebel habalim”, “vanità delle vanità”, “vanità per eccellenza”. Tutto è soffio, cosa inconsistente, non perché non abbia valore, ma perché ogni cosa, in sé bella e consistente, non riesce ad essere afferrata, trattenuta dall’essere umano. Per quanto l’uomo si affanni si accorge che, tirando le somme, non riesce a conservare nulla.

Seconda: l’interpretazione dell’espressione: “Il Signore gradì il sacrificio”.
Nella mentalità del Vicino Oriente Antico un sacrificio era offerto per la riuscita del proprio lavoro. Quale che fosse il lavoro dell’offerente – non ha qui alcuna importanza l’essere agricoltore o allevatore, stabile e sedentario o nomade o semi-nomade – ogni uomo offriva a Dio il suo sacrificio, perché Dio benedicesse il proprio lavoro, attraverso il frutto ed il guadagno di esso. Ogni gesto significativo della vita era accompagnato dall’offerta al Signore, dal sacrificio, perché egli benedicesse la vita umana.
Dire, perciò, che Dio gradì un’offerta e non un’altra, equivale a dire che il lavoro di Abele fu prospero ed il lavoro di Caino fu fallimentare, non ebbe il guadagno sperato. Il testo di Genesi ci pone così dinanzi al mistero della diversità delle sorti. Perché un uomo trova lavoro ed un altro lo perde, perché un investimento frutta ed un altro conduce al fallimento, perché un uomo ha salute, fecondità, fedeltà ed un altro si trova nella malattia, nella sterilità o nel tradimento?

Ecco allora il grande dramma di Caino e Abele: cosa avviene fra due fratelli, quando, pur non essendoci alcuna peccaminosità previa maggiore dell’uno rispetto all’altro, uno sta bene e l’altro va in rovina?
Fin qui, nel testo non c’è ancora alcun peccato commesso. Caino non è ancora moralmente peggiore di Abele; usando il linguaggio corrente, potremmo dire che, fin qui, il primo è nella sfortuna, mentre il fratello è nella buona sorte.
Ed ecco l’avvertimento biblico!

Forse che se non ti va bene, sollevamento
E se non va bene, la colpa è in agguato alla porta (Gen 4, 6-7).

Il testo ebraico osserva, con verità, che se ad uno tutto va bene, facilmente andrà in giro a testa alta, avrà un animo sollevato; se, invece, la sua vita, i suoi affari, non prospereranno, ecco – qui appare la possibilità del peccato! – che la possibilità di invidiare l’altro e di fargli il male è in agguato.
Proprio l’esperienza della vita ci fa vedere la verità dell’affermazione biblica. Il nostro insuccesso può destare in noi l’insofferenza verso chi è nel bene, nella pace, nella gioia.

Caino ha difficoltà a convivere con la gioia del fratello, poiché lui è nella sconfitta e nel fallimento.
Il Signore avverte: “Tu dominalo”, tu non lasciarti vincere dalla tentazione di invidiare la gioia del tuo fratello, sebbene essa ti faccia ancor più ricordare la tua attuale situazione di incompiutezza.
Caino invece pecca ed uccide Abele [1]
– è in questo momento che entra nel peccato, dando seguito alla semplice tentazione, che non è ancora peccato, secondo la salda dottrina ecclesiale. La presenza radiosa del fratello è insopportabile per lui. Solo la scomparsa della gioia di Abele, smetterà di ossessionarlo nella constatazione della propria difficoltà.
Ed è forse proprio la vicinanza – chi c’è di più prossimo di un fratello? – ad esacerbare ancora di più l’animo di Caino.
Il testo di Gen 4 ci invita così a partecipare non solo al dramma di Abele, ma anche a quello di Caino.

– – –

Ho dato già troppe informazioni per ora. Vi lascio a riflettere sulla storia e sui punti di interesse. Il colpo di grazia ve lo do successivamente :-). A breve il secondo aggiornamento.

Una nuova, vecchia storia

” Ognuno mieterà quel che ha seminato.”
Tutto è partito con questa frase.

Poi una ricerca in internet, reperire informazioni su di una storia che già conoscevo, e ritrovarmi davanti una nuova storia, una metafora, un insegnamento celato.

Troppo importante perch’io possa tenerlo per me.

A breve vi informerò di tutto.

Ma ora, lasciatemi a riflettere e a fumare. Mentre cerco il modo e le parole per rendervi partecipi di quel che ho scoperto.

Il poeta maledetto

120 giorni

Ci sono riusciti a cambiarci,
ci son riusciti lo sai.
Gli altri hanno cambiato te.
Tu hai cambiato me.
E son 120 giorni che ancor non capisco chi son diventato,
120 giorni, e sol ora ho capito chi sei diventata.
Ed anche se non mi si bagnano gli occhi,
piango d’un pianto del cuore.
E quelle lacrime non le posso asciugare.
Aspetterò che il tempo mi dia ragione,
laddove tu hai voluto darmi torto.
E senza lasciare in bilico altre vite,
a torturarle e aggiunger male al male,
continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai.
Ma io non ci sarò, finalmente.
Per te non ci sarò più. Mai.

Il poeta maledetto