Credetti di esser forte – scritta il 6 agosto 2008

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Anch’io credetti di esser forte,

e come secolare quercia crebbi.
Avevo una famiglia, una moglie, un figlio.
Più volte il fulmine colpì.

Tutte le volte resistetti.

Mai mi piegai,
mai compromessi accettai.
Ma quando marcio in tronco,

tempesta venne a regolare i conti,
seppur inespugnabile a vedersi, caddi.
E mi spezzai, in fragoroso tonfo.
Forte ero contro tutto e tutti.

Ma al tarlo non pensavo,

generato in me, dai miei affetti.
Dove tempesta e fulmine non poterono,
tarlo e tempesta fecero,
vincendo.
Ed or sconfitto resto, irrimediabilmente.
Tronco abbattuto dal dolore interno.
Imperituro esempio di qual forza non basti,
contro menzogna, inganno,

perverso tradimento.
Non ascia fu a colpirmi o colpo esterno,
ma piccolo tarlo interno a cui credevo,
avrei donato, e gli sarebbe bastata,
vitale linfa mia in eterno.

 

Il poeta maledetto

La moglie – scritta il 27 marzo 1995

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Voglio fuggire via,

andare lontano.

Trasportato dal vento,

voglio finire

su di un’isola deserta.

Voglio fuggire via da tutti,

anche da te.

Voglio poter sentire solo,

il dolce ondeggiare del mare.

Ecco, ci riesco,

il vento mi solleva in alto,

mi porta via.

Sono in cielo, a due passi dal sole.

E volo via lontano,

mentre ti fai piccola piccola

sotto di me.

Arrivo su di un’isola deserta.

Non odo altro

che il dolce ondeggiare del mare,

il dolce fruscìo delle palme,

il dolce silenzio del fare niente.

Raccolgo sulla spiaggia una conchiglia

e me la porto all’orecchio.

Ma che strano…

Al posto del mare s’ode una voce.

E’ la tua voce che ripete:

“caro, caro, caro.”

Un turbamento improvviso m’assale.

Il cielo scompare,

il mare scompare,

l’isola scompare.

Mi ritrovo nel letto

con te al mio fianco che ripeti:

“caro, caro, è tardi!”

“Caro, caro, svegliati!”

“Farai tardi in ufficio!”

 

Il poeta maledetto