La fonte – scritta il 21 aprile 1995

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Andava galoppando su di uno splendido cavallo bianco,

un giovane principe.

La sua corazza d’oro perse l’elmo,

quando dalla finestra di un castello

s’affacciò una dolcissima principessa.

Le bionde chiome sparse al vento,

confuse a quelle di lui;

che arrampicatosi sulle mura di quel castello,

era già lì, accanto a lei;

mentre le loro labbra si avvicinavano e allontanavano

in un tenero gioco d’amore.

Poco distante, una piccola strega guardava invidiosa,

e moriva di gelosia per quel principe,

che le aveva già stregato il cuore.

Seguì il principe che andò via

galoppando sul suo splendido cavallo bianco.

Quand’egli si fermò alla fonte per rinfrescarsi un pò,

lei lo raggiunse.

“Se non sei mio, non sarai di nessun’altra!”

Gridò la strega incattivita dall’odio;

e in un attimo, tra fulmini e saette,

il giovane principe fu tramutato in rospo.

Tra risa infami, la strega sparì nel bosco.

Affacciata alla finestra del castello,

biondechiome perdeva lo sguardo all’orizzonte.

Ma il suo principe non arrivava.

Lo aspettò, ed aspettò ancora.

Ma il suo bel principe non arrivava.

Pensò allora ch’egli l’avesse dimenticata,

o forse abbandonata.

E presa dalla disperazione,

decise di andare alla fonte per ammazzarsi.

Arrivò lì che piangeva,

e mentre stava per compier quel folle gesto,

le si parò innanzi un rugoso rospo.

Quegli occhietti tristi che aveva,

volevano dirle: “Non farlo!”

Lei se lo portò al viso.

Irresistibile fu la voglia di baciarlo.

E mentre le labbra morbide e calde di lei

stavan per toccare la pelle rugosa del rospo,

uscì gridando da un cespuglio la strega.

“No! Non baciarlo! Non farlo!”

Troppo tardi.

In un attimo, tra fulmini e saette,

la dolcissima principessa fu tramutata in rospo.

Fuggirono insieme nella fresca acqua della fonte.

E la strega, disperata per il dolore,

sparì nel bosco e non fece più ritorno.

Per ogni lacrima che quella strega ha versato,

nell’acqua della fonte, un girino in più è nato.

 

Il poeta maledetto

 

Castello – scritta il 28 gennaio 1995

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Castello in cui un tempo fremeva la vita.

Dove un tempo i bimbi giocavano

mentre le madri,

li vigilavano amorevolmente.

E correvano, e ridevano i bambini.

Insieme a loro sarebbe cresciuto un re,

e avrebbe posto il suo sigillo

fuori dalle tue mura.

Le tue torri avrebbero simboleggiato

la sua potenza,

e i tuoi cannoni la sua forza.

Sarebbe stato grande fra tutti gli uomini,

sorretto dal braccio di suo padre, il re,

fino a quando non avrebbe

imparato a camminare.

In una notte di temporale

la regina l’avrebbe fatto nascere.

Suo padre attendeva

ch’egli s’affacciasse alla vita,

seduto fuori da una stanza.

La pioggia cadeva sulle tue torri,

ed ogni goccia scivolava giù,

portata via nel fango.

Mentre il cielo urlava, il re aspettava.

Ma da quella stanza non uscirono

né il nuovo re, né la regina.

Al pianto del cielo

si unì quello di un uomo.

E se la collera del temporale passò,

quella dell’uomo non ti risparmiò.

Da castello che eri, diventasti rudere.

Un tempo in te nacque la vita,

adesso ella ti sfugge.

Sui gradini di ciò che resta delle tue torri,

dove ora le erbacce ti solleticano,

avrebbe potuto crescere un re,

figlio di re.

Antico castello, cullavi la gioia,

custodendola tra le tue mura.

Ora che non hai più porte,

né più finestre;

ora che sei un rudere

e non hai gioia da custodire,

in te regna la desolazione,

seduta su di un trono vuoto.

Al tramonto, nel brontolio del vento,

tra le mura del tuo scheletro s’ode,

unito al fruscìo delle erbacce,

l’antica disperazione di un uomo,

e il pianto

di un bimbo mai nato.

 

Il poeta maledetto