L’angelo Soniah

C’era una volta un angelo…
quest’angelo si divertiva a prendere sembianze umane
sotto forma di un uomo prima, e di una splendida donna dopo…
e a confondersi tra i comuni mortali.
Sembrava proprio una donna, affascinante, ma una donna.
E si dilettava a confondere le menti inferiori,
pur se ognuno che s’imbattesse nel suo parlare… ne usciva sconfitto,
ma arricchito nello spirito.
Davvero intrigante… il suo parlare come quello della sfinge,
i suoi quesiti, nascondevano già la risposta.
E non potevi far altro,
che darle ragione.
E fu così per millenni.
E la sua bellezza cresceva,
come la sua saggezza.
Nessuno avrebbe mai sognato di contrariarla,
e da tutte le parti del mondo,
venivano a chiederle consiglio.
L’oracolo, l’angelo disceso sulla terra.
I re, i grandi della terra venivano a lei,
perch’ella potesse dar loro un responso,
un vaticinio sulle loro imprese future,
un auspicio di lunga vita.
L’angelo, Soniah:
che in lingua aulica significa anche beatitudine,
aveva una posizione davvero invidiabile,
l’essere più potente della terra.
Ma…
Quella sua posizione era anche scomoda e difficile.
Era sempre una creatura straordinaria, ma unica al mondo.
E chiunque la guardasse, la vedeva come un essere diverso, sovrumano.
Così l’angelo Soniah, circondata da popoli interi…
riusciva a sentirsi sola e non accettata.
La folla l’acclamava e lei… nel suo cuore sentiva silenzio.
Così, in una notte di luna nuova,
si rivolse all’Altissimo invocando la sua supplica:
“Mio Altissimo Signore,
io sono da innumerevoli ere una tua servitrice,
non una volta son venuta meno al mio compito.
Ed ora son qui per Tuo volere,
a rischiarare l’ombra che è scesa come un velo
a ricoprire il corpo di questa terra solitaria.
Ti prego ascoltami…
Dammi la compagnia di qualcuno,
che possa regalarmi un sorriso.”
Ma la sua voce si perse nel profondo della notte.
Iniziò a piovere, così Soniah, sconfortata,
ritornò nelle sue stanze e pianse.
E le sue lacrime cadendo in terra, si tramutavano in petali di rose.
Emanando un profumo che avvolse in quella sera senza luce,
tutto il palazzo, tutta la città, tutta la regione.
Ma la sua supplica non era stata inascoltata,
e l’Altissimo pianse, perchè sapeva che quella supplica era sincera,
perchè sapeva quanto Soniah l’aveva e l’avrebbe servito…
Ed anche perchè quella supplica era nel cuore dell’Altissimo,
ancor prima che lei la recitasse.
E ancor prima che lei la pensasse… L’accoglimento era già stato deciso.
Così, quella notte profumo di rose e lacrime dal cielo si fusero,
creando la realtà del sogno di un angelo.
E i giorni passavano, e gli occhi color miele di Soniah, brillavano di meno
seppur paragonabili ancora al vespro del mattino.
Ma tra la folla che a lei veniva,
in un mattino ventoso di fine giugno,
un uomo, occhi cerulei, profondi,
si avvicinava a lei,
passo dopo passo.
Aspettando il suo turno.
L’unico che non recasse doni,
per il responso desiderato.
E quando la frotta di re e potenti fu terminata,
e ai piedi di Soniah brillavano monete d’oro e pietre preziose
liberando riflessi in ogni direzione,
e lei sembrava ancor più bella assisa sul suo trono, in cima ad una lunga
scala, i capelli fluenti, gli occhi brillanti, il viso scolpito da mani
divine, il corpo di una perfezione unica,
quest’uomo le fu davanti e le si avvicinò,
mostrando i palmi delle mani vuote, senza doni.
Che strane mani… un’unica linea solcava il palmo da parte a parte,
formando una A dove i comuni mortali hanno una M.
Qualcosa di semplicemente particolare.
Un lungo intenso sguardo,
occhi negli occhi,
e poi silenzio.
Un silenzio carico di mille e mille parole non dette.
E tutti gli sguardi si concentrarono su Soniah, la beatitudine
e sullo sconosciuto silente.
Qualcuno tra la folla iniziò a recitare: “il dormiente è sveglio”.
E un’altra voce seguì: “il dormiente è sveglio”.
Qualcuno urlò: “il dormiente è sveglio”,
e la folla si ritrovò ad incitare ritmicamente,
mentre cerulei nel miele, il silenzio continuava.
Soniah si alzò in piedi, rivolgendosi allo sconosciuto:
“qual’è la tua domanda straniero?”
E la sua voce suonò come una melodia,
come un canto d’usignoli al mattino,
mentre accompagnano i primi raggi di sole.
E lui: “Tu chi sei?”
E lei: “Soniah”
e lui di nuovo, senza distogliere la sguardo dai suoi splendidi occhi:
“Tu chi sei Soniah?”
In quell’attimo un pensiero sublime passò nella sua mente,
come fosse un possibile futuro. E lesta rispose:
“Colei che è qui per essere amata. E tu chi sei?”
Lo sconosciuto fece un passo verso di lei e disse:
“Io sono Davideh”
Curioso, pensò Soniah il cui nome significa sapienza; Davideh il cui
nome significa amato da Dio… Letti in sequenza sarebbero la sapienza
amata da Dio. Che sia un segno? E subito chiese:
“E tu chi sei Davideh”
A quelle parole, dette con una voce che sveglia i sensi di ognuno, tutti
i presenti ebbero un brivido alla schiena e si zittirono.
Ed anche Davideh al suono di quella dolce melodia, chiuse gli occhi,
per un attimo, perchè potesse coglierne tutta la spiritualità, tutta la
beatitudine e un pensiero sublime passò nella sua mente,
come un possibile futuro. E lesto rispose:
“Colui che è qui per amarti.”
Un altro passo verso di lei, un passo verso di lui,
e le loro labbra furon vicine,
assaporando le une il profumo delle altre.
Un lungo bacio, un attimo, in cui il tempo sembrò fermarsi.
Risaputo ormai che l’amore è un attimo da vivere in eterno,
e che quand’egli presenzia, tutto il resto perde significato.
Così, guardandosi negli occhi, un attimo successivo fu un successivo
bacio, e ancora, e ancora una volta.
Lasciato trono e ricchezze, i due discesero la scala, sparendo ai
mortali sguardi e confondendosi all’orizzonte, in un unico armonioso
completarsi, per sempre.
Finiva la missione dell’angelo,
cominciava quella dell’amore.

Dedicato a Sonia, per i brevissimi ma intensi attimi di vita sua, che ha voluto condividere con me.

Grazie.

Davide

il poeta maledetto