Piccola notte – 25 luglio 2008

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Imbarazzo e seduzione,

d’un incontro a pelle nuda.

Sorrisi e sguardi,

e tempo insieme,

e parole, dette, sussurrate.

Poco importanti e senza senso.

Dette soltanto per frenare la passione.

E carezze e baci,

a ricordar che l’anima pretende.

E vicini, più vicini,

ad ascoltare il battito del tuo cuore, del mio.

Ed il tuo corpo sul mio,

a ricordar che anch’egli pretende.

E resto tuo, imprigionato dai tuoi occhi,

persi nei miei a chiedere e ottenere.

Poi ti regali a me,

cedendo la tua forza al tuo concederti.

Ed io son qui,

per prender quel che m’offri,

e stringer più forte a me i tuoi fianchi,

la tua bronzea pelle.

Prigionieri liberati dall’amore di una notte.

A chiederci e pretendere altre notti,

assaporare ancora quel profumo di me e di te,

tra le lenzuola come onde

d’un mar che geme, freme, infuria e burrasca.

S’acqueta infine, soddisfatto e calmo,

degli occhi tuoi nei miei a sorridere,

come ragazzi al primo perdersi nel mondo dei grandi.

Un presente piacevole,

un futuro, dolce ricordo.

Dedicata a “Karina” – grazie per la splendida notte passata insieme.

Parole maledette – 24 luglio 2008

Parole e parole.

E versi e strofe.

Poesie e racconti,

a breve romanzi.

Quante inutili parole.

Parole belle, struggenti, d’amore,

d’odio e rancore.

Che arricchiscono l’anima,

che scaldano il cuore.

Che donano passione,

speranza, gioia e stupore.

Invidia, illusione,

delusa partecipazione.

Parole che vivono in se e di se.

Trasportate dal vento,

battute dal sole,

bagnate dall’acqua,

bruciate dal fuoco.

Germogliate in terra,

come semi di primavera.

Inutili parole d’amore,

che non sanno descrivere l’anima,

e non parlano il linguaggio del cuore.

Ci provano attraverso me,

che ogni volta fallisco.

E maledetto per questo.

Perché parole son parole,

e i sentimenti sono altra cosa.

E non s’incontrano che per brevi momenti,

soltanto nel cuore di chi le ascolta.

Così son poeta per raccontare e non per scrivere.

Di emozioni provate o soltanto immaginate,

ma vissute con l’animo,

e rivissute in chi le ascolta.

E son poeta maledetto, non per me stesso.

Per chi mi ascolta.

L’angelo Soniah

C’era una volta un angelo…
quest’angelo si divertiva a prendere sembianze umane
sotto forma di un uomo prima, e di una splendida donna dopo…
e a confondersi tra i comuni mortali.
Sembrava proprio una donna, affascinante, ma una donna.
E si dilettava a confondere le menti inferiori,
pur se ognuno che s’imbattesse nel suo parlare… ne usciva sconfitto,
ma arricchito nello spirito.
Davvero intrigante… il suo parlare come quello della sfinge,
i suoi quesiti, nascondevano già la risposta.
E non potevi far altro,
che darle ragione.
E fu così per millenni.
E la sua bellezza cresceva,
come la sua saggezza.
Nessuno avrebbe mai sognato di contrariarla,
e da tutte le parti del mondo,
venivano a chiederle consiglio.
L’oracolo, l’angelo disceso sulla terra.
I re, i grandi della terra venivano a lei,
perch’ella potesse dar loro un responso,
un vaticinio sulle loro imprese future,
un auspicio di lunga vita.
L’angelo, Soniah:
che in lingua aulica significa anche beatitudine,
aveva una posizione davvero invidiabile,
l’essere più potente della terra.
Ma…
Quella sua posizione era anche scomoda e difficile.
Era sempre una creatura straordinaria, ma unica al mondo.
E chiunque la guardasse, la vedeva come un essere diverso, sovrumano.
Così l’angelo Soniah, circondata da popoli interi…
riusciva a sentirsi sola e non accettata.
La folla l’acclamava e lei… nel suo cuore sentiva silenzio.
Così, in una notte di luna nuova,
si rivolse all’Altissimo invocando la sua supplica:
“Mio Altissimo Signore,
io sono da innumerevoli ere una tua servitrice,
non una volta son venuta meno al mio compito.
Ed ora son qui per Tuo volere,
a rischiarare l’ombra che è scesa come un velo
a ricoprire il corpo di questa terra solitaria.
Ti prego ascoltami…
Dammi la compagnia di qualcuno,
che possa regalarmi un sorriso.”
Ma la sua voce si perse nel profondo della notte.
Iniziò a piovere, così Soniah, sconfortata,
ritornò nelle sue stanze e pianse.
E le sue lacrime cadendo in terra, si tramutavano in petali di rose.
Emanando un profumo che avvolse in quella sera senza luce,
tutto il palazzo, tutta la città, tutta la regione.
Ma la sua supplica non era stata inascoltata,
e l’Altissimo pianse, perchè sapeva che quella supplica era sincera,
perchè sapeva quanto Soniah l’aveva e l’avrebbe servito…
Ed anche perchè quella supplica era nel cuore dell’Altissimo,
ancor prima che lei la recitasse.
E ancor prima che lei la pensasse… L’accoglimento era già stato deciso.
Così, quella notte profumo di rose e lacrime dal cielo si fusero,
creando la realtà del sogno di un angelo.
E i giorni passavano, e gli occhi color miele di Soniah, brillavano di meno
seppur paragonabili ancora al vespro del mattino.
Ma tra la folla che a lei veniva,
in un mattino ventoso di fine giugno,
un uomo, occhi cerulei, profondi,
si avvicinava a lei,
passo dopo passo.
Aspettando il suo turno.
L’unico che non recasse doni,
per il responso desiderato.
E quando la frotta di re e potenti fu terminata,
e ai piedi di Soniah brillavano monete d’oro e pietre preziose
liberando riflessi in ogni direzione,
e lei sembrava ancor più bella assisa sul suo trono, in cima ad una lunga
scala, i capelli fluenti, gli occhi brillanti, il viso scolpito da mani
divine, il corpo di una perfezione unica,
quest’uomo le fu davanti e le si avvicinò,
mostrando i palmi delle mani vuote, senza doni.
Che strane mani… un’unica linea solcava il palmo da parte a parte,
formando una A dove i comuni mortali hanno una M.
Qualcosa di semplicemente particolare.
Un lungo intenso sguardo,
occhi negli occhi,
e poi silenzio.
Un silenzio carico di mille e mille parole non dette.
E tutti gli sguardi si concentrarono su Soniah, la beatitudine
e sullo sconosciuto silente.
Qualcuno tra la folla iniziò a recitare: “il dormiente è sveglio”.
E un’altra voce seguì: “il dormiente è sveglio”.
Qualcuno urlò: “il dormiente è sveglio”,
e la folla si ritrovò ad incitare ritmicamente,
mentre cerulei nel miele, il silenzio continuava.
Soniah si alzò in piedi, rivolgendosi allo sconosciuto:
“qual’è la tua domanda straniero?”
E la sua voce suonò come una melodia,
come un canto d’usignoli al mattino,
mentre accompagnano i primi raggi di sole.
E lui: “Tu chi sei?”
E lei: “Soniah”
e lui di nuovo, senza distogliere la sguardo dai suoi splendidi occhi:
“Tu chi sei Soniah?”
In quell’attimo un pensiero sublime passò nella sua mente,
come fosse un possibile futuro. E lesta rispose:
“Colei che è qui per essere amata. E tu chi sei?”
Lo sconosciuto fece un passo verso di lei e disse:
“Io sono Davideh”
Curioso, pensò Soniah il cui nome significa sapienza; Davideh il cui
nome significa amato da Dio… Letti in sequenza sarebbero la sapienza
amata da Dio. Che sia un segno? E subito chiese:
“E tu chi sei Davideh”
A quelle parole, dette con una voce che sveglia i sensi di ognuno, tutti
i presenti ebbero un brivido alla schiena e si zittirono.
Ed anche Davideh al suono di quella dolce melodia, chiuse gli occhi,
per un attimo, perchè potesse coglierne tutta la spiritualità, tutta la
beatitudine e un pensiero sublime passò nella sua mente,
come un possibile futuro. E lesto rispose:
“Colui che è qui per amarti.”
Un altro passo verso di lei, un passo verso di lui,
e le loro labbra furon vicine,
assaporando le une il profumo delle altre.
Un lungo bacio, un attimo, in cui il tempo sembrò fermarsi.
Risaputo ormai che l’amore è un attimo da vivere in eterno,
e che quand’egli presenzia, tutto il resto perde significato.
Così, guardandosi negli occhi, un attimo successivo fu un successivo
bacio, e ancora, e ancora una volta.
Lasciato trono e ricchezze, i due discesero la scala, sparendo ai
mortali sguardi e confondendosi all’orizzonte, in un unico armonioso
completarsi, per sempre.
Finiva la missione dell’angelo,
cominciava quella dell’amore.

Dedicato a Sonia, per i brevissimi ma intensi attimi di vita sua, che ha voluto condividere con me.

Grazie.

Davide

il poeta maledetto

Gigi Finizio – Un Angelo (maledettissima pazzia)

Gigi Finizio > Per Averti (2005) > Un Angelo
 
http://ilpoetamaledetto.myblog.it/media/01/02/2681f6b29c7634493391ee4f16fe6fb8.mp3 

Non ci avrei scommesso mai,
Finisce tutto qui…
Non ci avrei scommesso mai,
Mi mandi al diavolo…

Come un gioco a casa mia,
Vedo un sogno andare via,
E sorseggio intorno a me,
L’amaro che ho di te…

Trattenerti ancora qui
Mi sembra poco ormai…
Oltre a piangere però,
Sarei patetico…

Manca poco ad andar via,
Io respiro la tua scia,
Sembra quasi una magia
La mia maledettissima pazzia…

Ti fa sembrare un angelo
Nel momento che saluti e te ne vai,
Dal mio corpo vedo quasi uscire l’anima,
Ci pensi amore mio,
Ti amo pure quando dici addio…
Rimani ancora un attimo,
Perché un attimo diventa un’ora in più…
Sai farlo solo tu…
Un cielo senza nuvole,
È quello che mi dai,
È quello che io non ti ho dato mai…

Io non sono un vero eroe,
Lo devo ammettere…
Ma non è una grande idea
Tornare liberi…

Io non c’ho pensato mai,
Continuare senza noi,
Forse l’ho deciso anch’io…
E la maledettissima pazzia…

Ti fa sembrare un angelo
Nel momento che saluti e te ne vai,
Dal mio corpo vedo quasi uscire l’anima,
Ci pensi amore mio,
Ti amo pure quando dici addio…
Rimani ancora un attimo,
Perché un attimo diventa un’ora in più…
Sai farlo solo tu…
Un cielo senza nuvole,
È quello che mi dai,
È quello che io non ti ho dato mai…

20 luglio

Buon compleanno Davide,

i tuoi 33 anni ti regaleranno grandi sorprese….

Devi solo andare a letto e fare un bel sogno,

sperando di svegliarti direttamente domani.

Un grazie sentito alla mia amica di chat didlina875

che è stata la prima allo scoccare della mezzanotte

a farmi gli auguri.

Grazie dolce amica! Che la vita ti sorrida sempre: te lo meriti.

E’ colpa mia!

E parli, parli o meglio urli.

Coprendo a quel telefono la mia voce.

E urli di avvocati, di minacce, offendi.

Che io son pazzo e che non mi fai vedere mio figlio.

E mi piacerebbe capire che differenza ci sarebbe, dato che l’affidamento è congiunto sulla carta,

ma il bimbo è con te in un’altra regione a più di 800 km di distanza.

E urli che non ti do i soldi per mio figlio, per mio figlio. E tu non lavori.

Ed ho distrutto l’auto ma è colpa mia.

E non ho soldi, ma è colpa mia.

Perchè non lavoro, perchè non riesco a trovar la forza di lavorare, ma è colpa mia.

E’ colpa mia perchè sono un fallito, parole tue.

E’ colpa mia perchè se non avessi frequentato altre persone, ora saremmo di nuovo insieme.

E mi farai causa, perchè nell’incidente hai rischiato di morire tu e tuo figlio… ma in quell’auto c’ero anch’io.

Perchè devi esser risarcita.

E’ colpa mia perchè non riesco a farmene una ragione, a rifarmi una vita.

Io mi chiedo soltanto una cosa:

Se è colpa mia di tutto, qual’è stato il tuo ruolo?

Eri una marionetta che io ho usato per farmi del male?

Un altro uomo che ti ha illusa e delusa, te l’ho cercato io?

Ti ho detto io di andare con lui in auto e in albergo anziché tornare a casa da tuo figlio e tuo marito?

C’ero io con te e con lui quando ve ne andavate in giro per locali e pub?

C’ero io quando con quest’uomo sposato ti scambiavi inutili e insincere (da parte sua) promesse d’amore?

Di lasciare sua moglie e magari l’amante, con la quale nel tuo tradimento egli ti tradiva?

E’ facile addossar le colpe di tutto ad altri.

E nel tuo caso le addossi a me, perchè tu l’hai fatto ma non volevi, e lui….

Lui ti ha usata, si è servito di te all’occorrenza, come una puttana. Ma di lui… Tu non vuoi sapere più nulla.

Quindi la colpa è mia.

E’ mia anche per averti dato una seconda possibilità,

e per averla sprecata perchè ti avevo chiesto la verità.

Che stupido…. Volevo la verità! Volevo instaurare di nuovo un rapporto basato sulla fiducia.

E stupido io, ho insistito per sapere…. sapendo che quel che m’avresti detto mi avrebbe fatto ancora del male.

Ma ho voluto. Scoprendo cose ancor più terribili. E più terribile che con un gioco di parole avevi ovviato alla verità,

le precedenti volte. Perfino quando ci siamo rivisti, ed abbiamo tentato di recuperare, perchè la verità non alberga

più in te, ma è colpa mia.

Che persona schifosa sei diventata, per le mie colpe.

Ed io tradito, illuso, deluso, allontanato dal figlio, lasciato solo, costretto a trasferirmi in un’altra città, per non restare

nella stessa città di lui, dove mi avevi convinto a trasferirci, nello stesso appartamento che era suo, che mi hai convinto

ad affittare, con i suoi mobili, che mi hai convinto a comprare, incapace di perdonare e dimenticare, costretto a cure

psichiatriche che non fanno effetto e che hai promesso di usare per farmi considerare pazzo, incapacitato sul lavoro,

ora per problemi di salute dovuti all’incidente, prima psicosomatici dovuti a farmaci e depressione e ansia, senza soldi

da poter dare a mio figlio, perchè “se li spendo per le ricariche telefoniche, per sentirmi con altre donne”, parole tue,

“non ne avrò mai”, aspetto.

Aspetto questo 22 di settembre che porrà fine davanti a un giudice ad un matrimonio finito per una tua relazione

extraconiugale “per colpa mia”.

Perchè tutta questa storia è frutto della mia colpa. Ed è giusto che io paghi per tutto.

Io “malato di vittimismo”, sarcasticamente definito “marito perfetto”, sarei disposto ad accettare tutte queste colpe,

ma sorgerebbe spontanea una domanda: Quali sono le tue di colpe?

La mia colpa più grande sai qual’è?

Quella di non aver capito in tempo che di te non si poteva più aver fiducia, e di averlo scoperto per caso ad aprile…

da dicembre. Ed averti concesso tutto il tempo di rinunciare al tuo pudore, al tuo orgoglio, al tuo rispetto per te stessa,

e diventare quello che sei ora: una donna meschina e bugiarda, assetata di vendetta contro chi al momento è più

debole e vulnerabile, perchè l’avvocato ti ha detto che mi puoi rovinare… Come se non mi avessi già tolto tutto.

Ma la colpa è mia!

Spero tu troverai altre persone che ti credano, perchè purtroppo devo disilluderti… io non ti credo.

Ma la colpa è mia….

Brava Annalisa,

raccontalo pure a tuo figlio, e convincilo che la colpa è tutta di suo padre.

Magari ascoltando la canzone tua e di quell’altro figlio di puttana sposato, che era il tuo fidanzato:

io se ti perdo, di Gigi D’Alessio.

Ma la colpa è mia.

Mi fermo a scrivere perchè il dolore al petto è acuto e insopportabile.

Ma la colpa è mia…. mia.

VITA – 19 luglio 2008

Qual fil di cotone teso,

tra dita sottili spezzandosi.

A rimirar mi trovo le due estremità.

Una più lunga, l’altra più corta.

E dir non saprei qual già vissuta

e qual rimanente.

Questa fragile vita dedicata,

a chiunque non fosse me stesso.

Ed or mi trovo alieno nel mondo.

Come se svegliato mi fossi da un sonno profondo.

Visi e sorrisi in strada,

che non conosco e non riconosco.

Chi toccato ne ha un pezzo,

chi ne toccherà l’altro.

Io,

incastro nel tempo,

non mio.

Ma sconosciute mani attendo.

Plasmar futuro e emozioni

di chi scrivendo vive,

di fragili parol come cotone.

Solo,

unica via per lasciar traccia.

In un futuro di cocci assestati insieme,

e con rapprese mani a scrivere,

nell’istante dell’ultima carezza,

un brivido ancora mi porterà

a quel pezzo di cotone ch’è volato

e all’altro che fra le dita è restato.

E del nodo fatto e risciolto,

per una verità non detta.

Per un sorriso che si è spento,

nel cuore di un poeta maledetto.

un sorriso

Vorrei sorridere di nuovo.

E’ così tanto tempo che non lo faccio che,

mi sembra quasi di aver dimenticato come si fa.

L’essere felici…. qualcuno disse: la felicità è solo un attimo tra un dolore e un altro.

Eppur quando anche quello manca,

capisci quanto un attimo sia importante,

per quanto leggero e passeggero.

E mi ritrovo qui, poeta maledetto,

a ringraziare il cielo, di poter essere ancora a scrivere del mio dolore.

Del mio rancore.

Della speranza di ritrovare quel sorriso negli occhi di una donna.

Che mi regali il barlume di una speranza di un futuro possibile.

Di un futuro con lei, dove ci sono anch’io.

La mia strada è interrotta e da qui non mi muovo.

Tornare indietro è impossibile,

l’andare avanti inaccessibile.

Attendo questo svincolo, una strada nuova,

che fino ad ora non ho scorto.

Rispetto, sincerità, amore, onestà, verità,

pietre miliari a scandire un nuovo cammino.

E un sorriso.

Un sorriso per dire: quel che è perduto è perduto per sempre…

Ma quanta vita ancora c’è per me!

Un sorriso per tornare a vivere.

Un sorriso che maledettamente aspetto,

mentre dolore e speranze confondo e trasformo in parole.

Aspettando che chi le legga le faccia in parte sue,

per liberarmi da questo carico che mi esplode dentro.

Straziante condanna di uno stupido che credeva all’amore e alla sincerità.

E che si strugge per qualcosa che non può cambiare,

con l’unica arma che conosce: lo scrivere.

amare, non amare, odiare

Io ti odio.

Ti odio con la stessa intensità con cui ti ho amata.

Il male che mi hai fatto, che mi fai, e che hai promesso mi farai.

La vita che hai distrutto. Quel Davide che non sono più io.

Quell’uomo che 11 anni è stato al tuo fianco, in tempi bui e tristi, piacevoli momenti e sorrisi e amore.

Quell’uomo è morto in un incidente stradale domenica scorsa.

Quello che si è salvato ne condivide il corpo, ma non il cuore.

Quel cuore che hai spezzato, schiacciato, umiliato.

Con bugie, verità non dette, sincerità impossibile anche quando hai avuto una seconda possibilità.

Quest’uomo nuovo ha nel suo cuore, per te, soltanto odio.

Odio per averlo costretto a ricercare una nuova vita dopo 33 anni,

nuove certezze, nuovi obiettivi, nuovi amori, nuovi stimoli, nuove emozioni.

Per averlo sconfitto con pugnalate alle spalle,

per averlo scoperto soltanto vedendosi sanguinare.

Perchè il coraggio di avvisare l’uomo che credeva tu lo amassi, che lo stavi cancellando, non l’hai avuto.

Il coraggio di pensare al vostro bambino, il coraggio di pensare a quello che stavi facendo,

quello ti è mancato… Era più facile fare e non pensare.

Ed io ti odio per la tua vigliaccheria.

Per l’avermi lasciato a combattere per noi da solo, non sapendo che la guerra era ormai persa.

E mi brucia, mi brucia il perché delle ferite, più delle ferite in se.

Perchè hai permesso che io soffrissi fino a perdere ogni contatto col presente e col mondo.

Perchè son stato male, e ho avuto bisogno di una persona che senza nessun interesse a considerarmi più

di un numero o un’altra tacca da mettere nei suoi successi, che mi dicesse cosa fare e cosa non fare.

Come se fossi uno stupido, un idiota, un malato, un pazzo.

Ti odio perchè, tolto l’amore dal cuore, sarebbe rimasto un vuoto troppo grosso, se non fosse stato sostituito da

un’altra emozione.

Ti odio perchè mi hai fatto capire di esser così fragile e vulnerabile.

Io che mi credevo d’acciaio e mi sono ritrovato in mille pezzi.

E rimessi alcuni cocci insieme, incollati alla meno peggio,

ti odio perchè per l’ennesima volta hai permesso a quel vaso rotto di cadere e d’infrangersi di nuovo.

Perchè la verità non esiste più nel tuo cuore, perchè la paura di dire e poter perdere ti ha fatto tacere.

E tacendo hai perso quel che volevi riconquistare.

Ed io di nuovo faccia a terra, ad assaggiar la polvere.

Ma questa volta dico basta.

Non lotto più per mediare.

Accetto la sconfitta, come irrimediabile, hai vinto su tutti i fronti, annientandomi.

Volto le spalle e dolorante mi allontano.

Ti lascio il mio odio, in ricordo dell’amore che ti ho dato.

Spero di non dover subire un’altra sconfitta così grande, mai più.

Spero che la vita ora sia più benigna con me.

Dopo aver estirpato la tua essenza da me,

ti auguro un giorno di capire che

seppur sconfitto e ferito,

io sono ancora qui a camminare a testa alta.

Ho perso tutto ma non il mio orgoglio.

Tu hai stracciato il tuo orgoglio,

ed ora camminerai a testa alta mentendo al mondo?

E fino a quando?

Ti odio così tanto da augurarti che la tua vittoria di ieri e di oggi, diventi la tua sconfitta di domani.

Ti odio perchè non sono più capace di amarti.

E ti odio perchè continuo a scrivere che ti odio.

Altre parole sprecate, che mai leggerai.

Perchè l’indifferenza che hai avuto da dicembre in poi nei miei confronti

è continuata quando approfittando di giochi di parole, mi hai nascosto ancora la verità.

Per farmi ancora più male, per paura di poter perdere quello che rivolevi.

Un pupazzo di pezza, un gioco vecchio accantonato per la novità del momento,

e che ora rivolevi… o non rivolevi… non lo sai nemmeno tu.

Un capriccio, un tira e molla.

Ti odio perchè non ci si comporta così nemmeno con il peggior nemico,

o con l’ultimo degli uomini.

Ti odio perchè sei la mia sconfitta più grande, e perchè non potrò far nulla senza cadere ancora più in basso,

o soffrire ancora di più.

Così sventolo bandiera bianca e mi arrendo gridando che ti odio,

perchè queste parole siano le ultime che ti dedico.

Il capitolo finale del libro che hai scritto nella mia vita,

e che mi porterò dietro nel resto dei miei giorni,

con le ferite che hai lasciato sulla mia pelle e sul mio cuore, vicino a quelle che mi sono procurato da solo.

Prima di riuscire a capire che ti odio, e che cercherò di dimenticare, te e del veleno che sputo in azzurrino su fondo bianco, tra le pagine virtuali di questo pezzo di vita mia, che non è tua, né più lo sarà.