Castello in cui un tempo fremeva la vita.
Dove un tempo i bimbi giocavano
mentre le madri,
li vigilavano amorevolmente.
E correvano, e ridevano i bambini.
Insieme a loro sarebbe cresciuto un re,
e avrebbe posto il suo sigillo
fuori dalle tue mura.
Le tue torri avrebbero simboleggiato
la sua potenza,
e i tuoi cannoni la sua forza.
Sarebbe stato grande fra tutti gli uomini,
sorretto dal braccio di suo padre, il re,
fino a quando non avrebbe
imparato a camminare.
In una notte di temporale
la regina l’avrebbe fatto nascere.
Suo padre attendeva
ch’egli s’affacciasse alla vita,
seduto fuori da una stanza.
La pioggia cadeva sulle tue torri,
ed ogni goccia scivolava giù,
portata via nel fango.
Mentre il cielo urlava, il re aspettava.
Ma da quella stanza non uscirono
né il nuovo re, né la regina.
Al pianto del cielo
si unì quello di un uomo.
E se la collera del temporale passò,
quella dell’uomo non ti risparmiò.
Da castello che eri, diventasti rudere.
Un tempo in te nacque la vita,
adesso ella ti sfugge.
Sui gradini di ciò che resta delle tue torri,
dove ora le erbacce ti solleticano,
avrebbe potuto crescere un re,
figlio di re.
Antico castello, cullavi la gioia,
custodendola tra le tue mura.
Ora che non hai più porte,
né più finestre;
ora che sei un rudere
e non hai gioia da custodire,
in te regna la desolazione,
seduta su di un trono vuoto.
Al tramonto, nel brontolio del vento,
tra le mura del tuo scheletro s’ode,
unito al fruscìo delle erbacce,
l’antica disperazione di un uomo,
e il pianto
di un bimbo mai nato.
Il poeta maledetto