Qual flutti e spuma in tempestoso mare,
m’avvidi senza speme privare la realtà.
Ma sogno assai giocoso inebriò me, bimbo,
che persi il senso, il tempo,
ogni riferimento.
Come d’istinto il naufrago,
calato il sol, l’oscuro appiglio sente
che non le stelle danno,
anche se più vicin muovessero,
l’inutile è assai utile,
quando s’è perso tutto.
Così tesi le braccia
e avvolgere e travolger mi lasciai
da quella bruna, deliziosa spuma,
che aperti gli occhi,
mi sorprese non fosse
pioggia di petali di rosa,
ma i suoi capelli neri in tempesta
a scompigliarsi e infrangersi sulla mia pelle.
Piacquemi per stavolta,
lasciar la luca e inabissar nella sua chioma
ché il sol potea sì tanto
in mezzodì nel cielo,
ma del confronto a quel che vidi,
tremante fiamma di candela similò,
che lenta spense l’ultimo respiro.
Delli coralli che scopersi intorno,
due ceppi distanziavansi dal gruppo.
Ritti, perfetti in ruolo di vedetta,
s’incaricarono a sigillo di preziosi scrigni.
Unica chiave, il nome suo in sussurro
concesse aprirli.
Diamante il suo splendore perse.
Sbiadendo sgretolò in vergogna,
per le incantevoli due perle nere
che erano i suoi profondi e misteriosi occhi.
Ma meraviglia ancor più grande
premeva d’essere svelata,
così, ripreso un pò di fiato,
m’incamminai pesando il passo,
come chi attende nella fioca, pallida,
venerea mira di madama Luna,
un attimo di tregua
all’ombra di prigione selva,
d’uscir dalla reale situazione,
sogno di libertà sostituirvi.
E ancor fortuna fu per me la guida.
Tra foglie verdi ritrovai la luna.
Danza di rami al sibilo del vento
rivolti a Lei, si mossero impetuosi.
Rossa di fuoco, di passione,
di marmellata e sangue, madre Luna;
che mi sentii gelar di mesto brivido,
scoprendo nell’antico legno
il nome mio segnato.
Ma il suo calore sciolse ogni raggelo.
I miei pensieri volti a Lei,
mi mossero impetuoso.
E con venerea e impavida passione,
trovai la libertà,
sulla sua bocca rossa.
Il poeta maledetto