Forte di mille battiti,
battuti nel cuore degli altri.
Vissuti con anima piena,
di gioia di grandi e piccini.
Eroe di tenerezza,
pupazzo dal cuore di pezza.
Il poeta maledetto
Un rumore improvviso
un istante
poi tutto scompare.
Un minuto, un rumore.
Il cuore mi batte
più forte di un tuono
più veloce di un lampo.
Mi giro di scatto,
il viso stravolto.
E’ soltanto caduta una sedia.
Ve n’è ancora l’ombra in terra.
Il rumore è passato:
è soltanto un ricordo.
Però che paura
in quell’istante già vuoto.
Il poeta maledetto
Camminava una formica
per una strada di polvere e sassi;
con il sole che batteva forte, senza tregua.
Lenta lenta se n’andava
che qualch’alimento da portare a casa cercava.
Ma solo quando fu notte,
un aiuto della provvidenza ricevette.
All’ombra di un fungo,
i resti di un umano banchetto:
una mollica di pane.
Era contenta,
avrebbe camminato tutta la notte.
Ma il corpo era stanco,
e s’addormentò abbracciata a quel dono.
Sognò di cicale guerriere,
che volevano portarle via il dono.
E lei combatteva, ma le cicale erano tante.
Così alla fine capitolò.
Per il dolore che ne ebbe si svegliò,
accorgendosi di abbracciare il nulla.
Guardò in giro, ma non c’era niente.
“T’ho vista, sai?”
Cominciò una cicala,
che sdraiata su una foglia vicina,
si godeva la prima luce dell’alba.
“Dormivi abbracciata alla mollica di pane.”
“Poi hai cominciato a mangiarla.”
“E in un’ora l’avevi bell’e finita.”
Si rattristò la formica.
“Cosa mangeranno adesso i miei piccini?”
Si fece buia in viso e cominciò a piangere.
La cicala si commosse a tal punto che disse:
“Troppo mi fa soffrire il tuo penare.”
“Se una mollica di pane avessi,
te la darei,
per cancellare la tua sofferenza.”
Ma c’era stampata
in quell’espressione di pena,
tutta la rabbia
che le cicale guerriere del sogno,
avevano dimostrato.
La formica se ne accorse.
S’avvicinò alla cicala e le disse:
“Canta, ti prego.”
“Acqueta il mio dolore
col tuo splendido canto.”
La cicala lusingata
da quel così bel parlare
non seppe rifiutare,
e cominciò a cantare.
Andò avanti per ore.
Da armonioso che era,
il suo canto però si fece triste.
Anche la cicala si fece triste.
E l’ultima nota rimase incantata,
smorzata nell’ultimo suo respiro.
Quello stesso giorno,
i piccoli di formica,
mangiarono i resti della cicala,
morta d’indigestione,
per aver mangiato pane e bugie
in grossa quantità.
Il poeta maledetto
Soffia forte il vento
mentre il gelo avvolge il mondo.
E nell’inverno del cuore,
il silenzio amplifica i sospiri
di amanti distanti.
Lacrime!
Portate via il dolore
che sento in me!
Liberatemi da questa
profonda sofferenza!
Da questa tortura che mi uccide!
Immaginarla davanti a me
e non poterla toccare…
Qual crudele tortura!
Lacrime, lavate i miei occhi!
Fate in modo ch’io non possa vederla,
ch’io non possa soffrire.
E la sua immagine
svanisce dai miei occhi,
portata via
da un impetuoso torrente di lacrime
che la fa naufragare
sulle rive del mio cuore.
E la sento vivere in me,
e soffro ancora di più.
Lacrime malvagie, lacrime d’amore.
Il poeta maledetto
Perché quando ti vedo,
il sole nel cielo risplende più forte,
e con mille colori diversi?
Perché quando ti vedo,
non esistono più nuvole in cielo,
e non esiste pioggia che bagni
il mio cuore sudato, affannato?
A proposito di cuore…
Perché quando ti vedo,
mi fa tanto male il cuore,
che batte come un tamburo impazzito,
in una notte di feste scatenate?
Forse perché hai fatto un patto col tempo.
Forse perché sono io che sto male.
Ma perché hai questo effetto su di me?
Forse perché ti amo.
Il poeta maledetto