Serrate labbra – 8 febbraio 2009

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Di un’unica voce,raminga,
in sconfinati, angusti e bui corridoi.
Di solitario palazzo
con mille e più stanze vuote.
Non una porta, né finestre.
Fantasma in catene,
di piccoli anelli spezzati e persi.
Vagar non m’è che malattia.
Condanna inceder strascicando.
Ma un passo segue sempre
quel che venne per primo.
Non scorgo piedi,
né frusciar lento
di pelle su terra,
o lastricati freddi marmi
il contatto.
E l’agghiacciante grido
di un giorno nuovo,
che nasce e ch’io non posso vedere,
d’un presente in cui
futuro e passato
omozigoti sembionti m’avvincono,
batte con tutta la sua forza,
pareti che vibran ma non cedono,
tra mura,
dove trasformasi in silenzio.
Morendo al lento stillicidio,
di goccia che si perde dove mai,
potrai saper ch’essa sia nata per te,
e che per lo stesso motivo,
svanisce per sempre
in lacrime nere che verso,
su bianchi fogli tramutando in parole.
Chi mai seguir potrà
invisibili, occultate tracce,
ch’io lascio in pegno di liberazione?
Se direzione è verso colei
che carceriera condannò e eseguì,
sigillando e tramutando in prigione,
appassiti corridoi di desolato cuore.

  

Il poeta maledetto