Spiga di grano – scritta il 29 agosto 2008

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Natura non potea nuocere me, spiga di grano.

E vento e pioggia e fulmine e fuoco,

a tutto sopravvissi.

Maligna e delicata mano venne per recidermi,

e in lei m’abbandonai,

del tocco suo, io mi fidai.

In lei vedevo nuova vita,

illuso di falcetto e mano,

il mondo mio furon le sue dita.

E dolore e morte.

Ma chicco abbandonai

che speme fu di ritornare al sole.

Ed or mi trovo qui a raccontare,

rinato in fiume d’oro,

la mia vita nel vento abbandonare.

 

Il poeta maledetto

Notte – scritta il 12 agosto 2008

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Notte.
Notte di aliti di vento,
melodie lontane,
frasi e parole portate dal vento.
Ascolto.
Tendo l’orecchio a carpir dei segreti,
non miei e che nemmeno m’interessano.
Testa all’indietro,
sguardo al cielo.
Quante stelle, dov’è la mia?
Che bella luna,
da quando son nato m’affascina,
mi prende,
rapisce i miei sensi.
Ma adesso un pensiero,
nella mente mi rode.
Lei, dov’è? Cosa fa?
In queste notti d’estate,
ove ancor più distanza ho messo fra me e lei,
se solo tendesse l’orecchio,
sentirebbe la mia voce chiamarla.
Se solo inclinasse la testa,
sentirebbe la mia mano
Accarezzarle il collo.

 

Il poeta maledetto

QUALCOSA DI SPECIALE – 14 GIUGNO 2008

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Qual vento sia stato

A portarmi fin qui non so.

Ma un sussurro sibilava: fidati.

Qual foglia d’autunno

Lasciato cadere

E trasportato via, lontano.

Ch’appiglio o posa non ricorda,

Che non sia un nome,

Una parola amica.

Ed or si trova qui,

Davanti a te.

Bella e cattiva,

Ma dolce e sincera.

Lento frusciare

Uscito dal vento.

Dimentico del tempo

Ormai inutile fuggiasco,

Vinto l’appiglio, trovata la posa.

Intensa emozione.

Come chiamarla?

Amore?

 

Il poeta maledetto

L’invidioso – 22 settembre 1996

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E’ un fuoco che lentamente mi consuma,

cenere resta che il vento piano porta via.

E non vivo che per la tua voce,

per un sospiro.

In ogni tuo sguardo mi perdo e cado giù.

Nel buio del mio cuore,

senza appiglio,

senza via di scampo.

Ma nulla è più dolce

di sentirti pronunciare il mio nome,

di tornare così a nuova vita.

E di restare incatenato,

intrappolato al tuo sorriso.

Vivo di tutte le tue piccole cose.

Rubo e nascondo coi miei sguardi

ogni tuo movimento.

Sogno d’esserti sempre vicino

e invidio la tua ombra

che può seguirti libera,

mentre cammini,

mentre fai l’amore col mondo.

Potessi sostituirmi a lei per una volta,

t’avvolgerei come un mantello,

riscalderei il tuo cuore,

il tuo bel viso.

Perché è di queste piccole cose che vivo.

Povero innamorato di te,

e di tutto ciò che ti è vicino.

 

Il poeta maledetto

 

La città di noi due – scritta il 13 novembre 1995

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Il vento soffia sulla città senza sole.

E’ una prigione grigia,

senza uscita e senza vita.

Dov’è il mio amore?

Dove posso trovare il suo cuore?

Ho raccolto tutti i miei sogni,

li ho plasmati e ne ho fatto ali.

La noia non vince, mia principessa.

Ti salvo dal buio, dalla malinconia.

Sto bussando al tuo cuore,

apri la porta, fammi entrare.

Ho qui delle ali per portarti via.

Il mondo non dà ciò che promette,

principessa io ti offro la vita mia.

Sto bussando al tuo cuore,

non esitare!

Indossa le ali e comincia a volare.

Ti porterò nei miei sogni,

fermerò il tempo,

nella città dell’amore

noi due vivremo in eterno.

Sorridi principessa

e sorriderà il mio cuore.

Sorridi principessa

e farai felice un uomo.

Un tuo bacio, mio amore,

e in quella città risorgerà il sole.

 

Il poeta maledetto

 

Il gigante – scritta il 28 settembre 1995

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Vento tra i capelli,

sguardo all’orizzonte.

Sulla spider corre

quasi fosse un campione.

Quelle eco vive,

sembra ancora di sentirle:

sei grande, sei il migliore.

E intanto il piede

schiaccia l’acceleratore.

Piange di gioia.

E’ il re della strada;

no! E’ il re del mondo:

Sei grande James Dean,

sei sempre il migliore.

E il piede

è ancora sull’acceleratore.

Arriva un’auto con senso opposto.

Quelle eco ancora:

Attento gigante!

Costui usurpa il tuo posto.

Gli si sgranano gli occhi.

“Non è possibile, devo impedirlo.

Devo fermarlo. Sono io il migliore.”

Un attimo basta.

Ventotto settembre, James Dean muore.

Eri grande gigante,

eri il migliore.

Sulla spider distrutta

va a tramontare il sole.

Un ricordo corre ancora

finché sparisce nel dolore.

Ventotto settembre,

anche i giganti diventano ombre.

 

Il poeta maledetto

 

Il suonatore di flauto – scritta il 12 luglio 1995

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Sul sentiero polveroso

andava sicuro e lento,

il passo di un vagabondo.

Accompagnato egli era

in ogni movimento

dalle note del flauto che lui suonava,

e che dal vento sembrava suonato.

Nei suoi occhi si vedeva il cielo,

e nel profondo di quel cielo

una luce splendeva,

più del sole di mezzodì.

L’aria era afosa e il caldo insopportabile.

Decise allora di riposarsi all’ombra di un albero.

Come un bocciolo di rosa che s’apre

e tutt’intorno inebria l’aria del suo profumo,

Così le note del suo flauto

diffondendosi tutt’intorno,

inebriavano le foglie dell’albero,

i sassi del polveroso sentiero,

i fiori del prato.

E tra i verdi fili d’erba

prima una formica, poi un’altra,

poi un’altra ancora,

e poi migliaia, milioni di formiche,

si fermarono ad ascoltare.

Il suono di quel flauto,

in ogni nota più bello,

più profondo;

in ogni nota più sogno,

non si fermò che a sera.

Il sole era già tramontato,

mentre la luce negli occhi del vagabondo

brillava ancora come un diamante.

Si alzò in piedi e riprese il sentiero.

Le formiche, innamorate, lo seguirono tutte.

Passava il tempo e il flauto taceva.

Nella tarda notte,

prima una, poi un’altra,

poi un’altra ancora,

e poi migliaia, milioni di formiche,

tutte lasciarono il sentiero.

Tutte tranne una,

che seguiva ogni passo del vagabondo

con mille dei suoi.

Passava il tempo e il flauto taceva.

La formica aspettò fino all’alba:

“almeno un’altra nota,

un’altra canzone per me suonerà”

si ripeteva ad ogni mille passi.

Ma il flauto taceva e lei

si fermò in mezzo al sentiero.

Il vagabondo continuò il suo cammino

sparendo dietro una collina per sempre.

Il vento un giorno portò una melodia da lontano

che diffondendosi tutt’intorno

inebriò le foglie dell’albero,

i sassi del polveroso sentiero,

i fiori del prato.

E tra i fili d’erba

prima una, poi un’altra,

poi un’altra ancora,

e poi migliaia, milioni di formiche,

si fermarono ad ascoltare

le note del flauto di un vagabondo,

che seduto sotto un albero,

suonava per gli uccelli migratori.

Mentre tutte sognavano ad occhi aperti,

mentre il vento andava sparendo,

una formica piangeva,

ricordando qualcuno che aveva amato,

ricordando il cielo ch’era nei suoi occhi,

e la luce che brillava in quel cielo.

Pianse a lungo la formica

e una sua lacrima cadendo

si tramutò in diamante.

Lo raccolse e subito corse sul sentiero.

Arrivò giusto nel punto in cui

aveva abbandonato il vagabondo,

e la dolce melodia finì.

Il diamante si sciolse ritornando lacrima

ed affondò nella polvere del sentiero.

Un altro diamante proveniente dal cielo:

una stella cadente,

precipitò sulla collina ch’era li davanti.

Nel bagliore svanente

apparve l’immagine del vagabondo.

Egli la guardò, le sorrise.

Poi si voltò e riprese il suo cammino.

La formica con il cuore traboccante di gioia,

questa volta affrettò i suoi passi e lo raggiunse.

Tra le note del flauto,

il vagabondo e la formica si tramutarono in stelle.

Nel cielo azzurro e senza luna

brillò da quel momento

una costellazione nuova.

Quella costellazione scorsi un giorno nei tuoi occhi

e t’assicuro che brillava come un diamante

nel sussurro d’amore di due stelle.

La melodia dei tuoi gesti

come le note di un flauto incantato

diffondendosi tutt’intorno,

m’inebriavano il viso, gli occhi, le labbra.

Avrei seguito il tuo passo con mille dei miei.

Mai avrei staccato il mio destino dal tuo.

Mai avrei abbandonato il tuo cielo.

Ma la costellazione ch’era nei tuoi occhi

affievolendosi, lentamente sparì.

Un dì che non ricordo,

la dolcissima tua bocca,

fonte di melodia quale flauto incantato,

più non proferì parola.

E mi lasciasti solo,

costellazione di una stella unica.

 

Il poeta maledetto

 

La moglie – scritta il 27 marzo 1995

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Voglio fuggire via,

andare lontano.

Trasportato dal vento,

voglio finire

su di un’isola deserta.

Voglio fuggire via da tutti,

anche da te.

Voglio poter sentire solo,

il dolce ondeggiare del mare.

Ecco, ci riesco,

il vento mi solleva in alto,

mi porta via.

Sono in cielo, a due passi dal sole.

E volo via lontano,

mentre ti fai piccola piccola

sotto di me.

Arrivo su di un’isola deserta.

Non odo altro

che il dolce ondeggiare del mare,

il dolce fruscìo delle palme,

il dolce silenzio del fare niente.

Raccolgo sulla spiaggia una conchiglia

e me la porto all’orecchio.

Ma che strano…

Al posto del mare s’ode una voce.

E’ la tua voce che ripete:

“caro, caro, caro.”

Un turbamento improvviso m’assale.

Il cielo scompare,

il mare scompare,

l’isola scompare.

Mi ritrovo nel letto

con te al mio fianco che ripeti:

“caro, caro, è tardi!”

“Caro, caro, svegliati!”

“Farai tardi in ufficio!”

 

Il poeta maledetto

 

Il vento – scritta il 27 febbraio 1995

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Un granello di polvere

che svolazza per la stanza.

Rivelato da un raggio di sole

che filtra dalla finestra.

Si ferma su di un mobile,

silenziosamente.

Resta li per giorni, per mesi,

forse per anni.

Poi basta una folata di vento

e ricomincia a volare.

Un granello di sabbia

perduto in una spiaggia.

Rivelato da un raggio di sole

del tramonto.

Avvinghiato a tanti altri

in un abbraccio silente.

Resta li per giorni, per mesi,

forse per anni.

Poi basta una folata di vento

e ritorna nel mare.

L’uomo è un granello di polvere

che svolazza in una stanza.

E’ un granello di sabbia

perduto in una spiaggia.

Rivelato da un raggio di sole

che ne illumina la via.

Si ferma a guardare avanti,

silenziosamente.

Resta li per giorni, per mesi,

per anni.

Poi basta una folata di vento,

e se lo porta via.

 

Il poeta maledetto