Sul sentiero polveroso
andava sicuro e lento,
il passo di un vagabondo.
Accompagnato egli era
in ogni movimento
dalle note del flauto che lui suonava,
e che dal vento sembrava suonato.
Nei suoi occhi si vedeva il cielo,
e nel profondo di quel cielo
una luce splendeva,
più del sole di mezzodì.
L’aria era afosa e il caldo insopportabile.
Decise allora di riposarsi all’ombra di un albero.
Come un bocciolo di rosa che s’apre
e tutt’intorno inebria l’aria del suo profumo,
Così le note del suo flauto
diffondendosi tutt’intorno,
inebriavano le foglie dell’albero,
i sassi del polveroso sentiero,
i fiori del prato.
E tra i verdi fili d’erba
prima una formica, poi un’altra,
poi un’altra ancora,
e poi migliaia, milioni di formiche,
si fermarono ad ascoltare.
Il suono di quel flauto,
in ogni nota più bello,
più profondo;
in ogni nota più sogno,
non si fermò che a sera.
Il sole era già tramontato,
mentre la luce negli occhi del vagabondo
brillava ancora come un diamante.
Si alzò in piedi e riprese il sentiero.
Le formiche, innamorate, lo seguirono tutte.
Passava il tempo e il flauto taceva.
Nella tarda notte,
prima una, poi un’altra,
poi un’altra ancora,
e poi migliaia, milioni di formiche,
tutte lasciarono il sentiero.
Tutte tranne una,
che seguiva ogni passo del vagabondo
con mille dei suoi.
Passava il tempo e il flauto taceva.
La formica aspettò fino all’alba:
“almeno un’altra nota,
un’altra canzone per me suonerà”
si ripeteva ad ogni mille passi.
Ma il flauto taceva e lei
si fermò in mezzo al sentiero.
Il vagabondo continuò il suo cammino
sparendo dietro una collina per sempre.
Il vento un giorno portò una melodia da lontano
che diffondendosi tutt’intorno
inebriò le foglie dell’albero,
i sassi del polveroso sentiero,
i fiori del prato.
E tra i fili d’erba
prima una, poi un’altra,
poi un’altra ancora,
e poi migliaia, milioni di formiche,
si fermarono ad ascoltare
le note del flauto di un vagabondo,
che seduto sotto un albero,
suonava per gli uccelli migratori.
Mentre tutte sognavano ad occhi aperti,
mentre il vento andava sparendo,
una formica piangeva,
ricordando qualcuno che aveva amato,
ricordando il cielo ch’era nei suoi occhi,
e la luce che brillava in quel cielo.
Pianse a lungo la formica
e una sua lacrima cadendo
si tramutò in diamante.
Lo raccolse e subito corse sul sentiero.
Arrivò giusto nel punto in cui
aveva abbandonato il vagabondo,
e la dolce melodia finì.
Il diamante si sciolse ritornando lacrima
ed affondò nella polvere del sentiero.
Un altro diamante proveniente dal cielo:
una stella cadente,
precipitò sulla collina ch’era li davanti.
Nel bagliore svanente
apparve l’immagine del vagabondo.
Egli la guardò, le sorrise.
Poi si voltò e riprese il suo cammino.
La formica con il cuore traboccante di gioia,
questa volta affrettò i suoi passi e lo raggiunse.
Tra le note del flauto,
il vagabondo e la formica si tramutarono in stelle.
Nel cielo azzurro e senza luna
brillò da quel momento
una costellazione nuova.
Quella costellazione scorsi un giorno nei tuoi occhi
e t’assicuro che brillava come un diamante
nel sussurro d’amore di due stelle.
La melodia dei tuoi gesti
come le note di un flauto incantato
diffondendosi tutt’intorno,
m’inebriavano il viso, gli occhi, le labbra.
Avrei seguito il tuo passo con mille dei miei.
Mai avrei staccato il mio destino dal tuo.
Mai avrei abbandonato il tuo cielo.
Ma la costellazione ch’era nei tuoi occhi
affievolendosi, lentamente sparì.
Un dì che non ricordo,
la dolcissima tua bocca,
fonte di melodia quale flauto incantato,
più non proferì parola.
E mi lasciasti solo,
costellazione di una stella unica.
Il poeta maledetto