Non mi dispiace – scritta il 16 agosto 2008

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Mi hai visto piangere.

Passavo così,

lacrime agli occhi,

nel buio di quella casa

dalle persiane abbassate.

Dove solo il mio corpo avevo lasciato

a vegetare.

Mi hai visto piangere

quando ti sono passato di fianco,

trasparente nella tua indifferenza.

Senza accorgerti di me,

perso nella mia delusione,

nel mio dolore.

Annientato dall’illusione

che mi avevi messo in cuore.

E ti sei meravigliata di quel pianto,

di quando con la stessa innaturale freddezza

disumano distacco,

del predatore che divora la preda ancora viva,

ed essa con gli ultimi sprazzi di vita,

cerca ancor di reagire e divincolarsi,

ben sapendo che il suo destino è segnato,

mi dicevi che un’altra ti diceva,

che mi vedeva ancora innamorato,

a te legato.

E che saremmo tornati insieme.

E me lo dicevi per farmi star male?

o per convincerti in un mio dissenso che

la cosa era impossibile?

O semplicemente per meravigliarti di quell’insignificante uomo

e del suo stupido, inutile pianto?

Ed io piangevo.

Ma non esistevo nel tuo cuore.

Preso da un’illusione,

dimentico di tutto l’amore dato e ricevuto,

per sentirti donna,

e meno mamma.

E meno moglie.

Non mi dispiace del tuo dolore,

come a te non dispiace del mio.

Mia falsa, purtroppo sconosciuta,

compagna di vita passata.

Mi sforzerò di regalare un sorriso

ad una sconosciuta di domani,

fingendo ch’io sia ancora

capace di farlo.

 

Il poeta maledetto

Mi dispiace – scritta il 15 agosto 2008

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Ti ho vista piangere.

Passavi così,

lacrime agli occhi,

nel buio di questa via

male illuminata.

Ti ho vista piangere

quando mi sei passata di fianco

senza accorgerti di me.

Persa nel tuo dispiacere,

nel tuo dolore.

Avrei voluto asciugare quelle lacrime,

fermare quel pianto.

Dirti che mi dispiace di non conoscerti,

di non conoscere il motivo,

di non sapere che parole usare

per poterti consolare.

Mi dispiace del tuo dolore

mia triste, sconosciuta amica.

Mi sforzerò di regalare un sorriso

ad una sconosciuta domani,

fingendo che sia tu.

 

Il poeta maledetto

Quel ch’è gia mio – scritta il 21 marzo 1997

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Toglietemi gli occhi

ch’io non possa vederla,

che gia riflessa in me

la luce sua fa casa.

Toglietemi le gambe

ch’io non possa correr da lei,

che gia nel mio cuore

c’incontriamo e ci amiamo.

Toglietemi le mani

ch’io non possa toccarla,

che gia carezza magica

l’anima mia la sua figura,

ché mente mia piena di lei trabocca.

Toglietemi il futuro

ch’io vivo di presente,

sicché d’amor d’un attimo

la fine lui non teme.

Ma non toglietemi la voce

ch’io non possa

gridarle che l’amo.

Perché morir per lei

più vivo testimone amore vuole,

che viver senza lei

morir sussurra Morte.

Ch’io non possa dirle

che è con me per sempre,

tra le sue dita è il filo

che lento scorre,

a tesser la mia sorte.

 

Il poeta maledetto

 

Il suonatore di flauto – scritta il 12 luglio 1995

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Sul sentiero polveroso

andava sicuro e lento,

il passo di un vagabondo.

Accompagnato egli era

in ogni movimento

dalle note del flauto che lui suonava,

e che dal vento sembrava suonato.

Nei suoi occhi si vedeva il cielo,

e nel profondo di quel cielo

una luce splendeva,

più del sole di mezzodì.

L’aria era afosa e il caldo insopportabile.

Decise allora di riposarsi all’ombra di un albero.

Come un bocciolo di rosa che s’apre

e tutt’intorno inebria l’aria del suo profumo,

Così le note del suo flauto

diffondendosi tutt’intorno,

inebriavano le foglie dell’albero,

i sassi del polveroso sentiero,

i fiori del prato.

E tra i verdi fili d’erba

prima una formica, poi un’altra,

poi un’altra ancora,

e poi migliaia, milioni di formiche,

si fermarono ad ascoltare.

Il suono di quel flauto,

in ogni nota più bello,

più profondo;

in ogni nota più sogno,

non si fermò che a sera.

Il sole era già tramontato,

mentre la luce negli occhi del vagabondo

brillava ancora come un diamante.

Si alzò in piedi e riprese il sentiero.

Le formiche, innamorate, lo seguirono tutte.

Passava il tempo e il flauto taceva.

Nella tarda notte,

prima una, poi un’altra,

poi un’altra ancora,

e poi migliaia, milioni di formiche,

tutte lasciarono il sentiero.

Tutte tranne una,

che seguiva ogni passo del vagabondo

con mille dei suoi.

Passava il tempo e il flauto taceva.

La formica aspettò fino all’alba:

“almeno un’altra nota,

un’altra canzone per me suonerà”

si ripeteva ad ogni mille passi.

Ma il flauto taceva e lei

si fermò in mezzo al sentiero.

Il vagabondo continuò il suo cammino

sparendo dietro una collina per sempre.

Il vento un giorno portò una melodia da lontano

che diffondendosi tutt’intorno

inebriò le foglie dell’albero,

i sassi del polveroso sentiero,

i fiori del prato.

E tra i fili d’erba

prima una, poi un’altra,

poi un’altra ancora,

e poi migliaia, milioni di formiche,

si fermarono ad ascoltare

le note del flauto di un vagabondo,

che seduto sotto un albero,

suonava per gli uccelli migratori.

Mentre tutte sognavano ad occhi aperti,

mentre il vento andava sparendo,

una formica piangeva,

ricordando qualcuno che aveva amato,

ricordando il cielo ch’era nei suoi occhi,

e la luce che brillava in quel cielo.

Pianse a lungo la formica

e una sua lacrima cadendo

si tramutò in diamante.

Lo raccolse e subito corse sul sentiero.

Arrivò giusto nel punto in cui

aveva abbandonato il vagabondo,

e la dolce melodia finì.

Il diamante si sciolse ritornando lacrima

ed affondò nella polvere del sentiero.

Un altro diamante proveniente dal cielo:

una stella cadente,

precipitò sulla collina ch’era li davanti.

Nel bagliore svanente

apparve l’immagine del vagabondo.

Egli la guardò, le sorrise.

Poi si voltò e riprese il suo cammino.

La formica con il cuore traboccante di gioia,

questa volta affrettò i suoi passi e lo raggiunse.

Tra le note del flauto,

il vagabondo e la formica si tramutarono in stelle.

Nel cielo azzurro e senza luna

brillò da quel momento

una costellazione nuova.

Quella costellazione scorsi un giorno nei tuoi occhi

e t’assicuro che brillava come un diamante

nel sussurro d’amore di due stelle.

La melodia dei tuoi gesti

come le note di un flauto incantato

diffondendosi tutt’intorno,

m’inebriavano il viso, gli occhi, le labbra.

Avrei seguito il tuo passo con mille dei miei.

Mai avrei staccato il mio destino dal tuo.

Mai avrei abbandonato il tuo cielo.

Ma la costellazione ch’era nei tuoi occhi

affievolendosi, lentamente sparì.

Un dì che non ricordo,

la dolcissima tua bocca,

fonte di melodia quale flauto incantato,

più non proferì parola.

E mi lasciasti solo,

costellazione di una stella unica.

 

Il poeta maledetto

 

Il volontario – scritta il 7 aprile 1995

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C’era un tempo un ragazzino

che giocava a far la guerra.

Occhi rossi, color del fuoco.

Per lui, no! Non era un gioco.

Crebbe insieme ai soldatini.

Crebbe in lui quel desiderio,

per gli altri strano di sparare.

E con i rami degli alberi,

si esercitò per imparare.

Quando divenne grande,

scoppiò la guerra.

E lui per giocare,

si andò ad arruolare.

Arrivò sul fronte,

con gli occhi rossi, color del fuoco.

Voleva sparare.

E quel desiderio antico,

adesso avrebbe appagato.

Ma invece di sparare,

andò al fronte

e fu sparato.

 

Il poeta maledetto

 

Risveglio – scritta il 5 marzo 1995

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Negli occhi chiusi le tenebre stavano.

Il cuore sordo, l’animo muto.

Le coperte per separarsi dal mondo,

un cantuccio per nascondere le mani.

Il respiro regolare sognando di ombre.

Ombre che danzano in lampi di luce,

nel sordomuto buio

delle tenebre della notte.

Poi il sogno finiva e la luce veniva.

Riflessa negli occhi non più chiusi,

dove prima le tenebre stavano.

Le coperte scostate, il cuscino vuoto:

il dormiente è sveglio.

Il giorno è venuto.

 

Il poeta maledetto

 

Prima che una lacrima scenda

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Prima che una lacrima scenda dagli occhi del poeta
e come perla s’infranga su foglio liberando mille e più parole,
mi chiudo in me stesso, al buio e ascolto voci, melodie,
che il cuore mio tinge e trasforma.
Liberare un sentimento non è facile, ma…
Tramutare una lacrima in un sorriso,
e vedere un altro cuore emozionarsi di questo;
ripaga di ogni maledetto istante d’amarezza,
confondendolo in brivido che corre da pelle a pelle,
da uno sguardo che è perso nel mio… Che è perso nel suo.

 

Il poeta maledetto

Noce di cocco – scritta il 21 febbraio 1995

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Occhi di ghiaccio, viso freddo e serio.

Coperto da una corazza durissima,

che il vento non penetra;

che la pioggia non penetra;

che nessuna lama scalfisce.

Sei come una noce di cocco,

che nasconde la sua parte migliore.

Il fiore che sboccia dentro te,

appassisce e muore prima di nascere.

Occhi di ghiaccio,

quante parole non pronunciate.

Morte nel silenzio di quelle labbra.

Quanti pensieri spezzati,

consumati nel fumo di una sigaretta.

Noce di cocco fredda e muta.

Coperta da una corazza durissima,

che il vento non penetra;

che la pioggia non penetra;

che nessuna lama scalfisce.

Sei come due occhi di ghiaccio,

che nascondono la loro parte migliore.

Un sorriso sperato,

consumato nel fumo di una sigaretta.

 

Il poeta maledetto