Vento notturno – scritta il 14 aprile 1997

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Carezzarti i capelli,

le tue labbra sfiorar.

Questo mio desiderio,

or vorrei realizzar.

Come il vento notturno,

che filtrando le porte

ti si posa sul viso,

sul tuo corpo si fa coperta.

S’io potessi esser vento,

s’io potessi esser li

ti direi: “ti amo tanto”

e non: “mi manchi così”.

 

Il poeta maledetto

 

Mezzaluna – scritta il 31 marzo 1997

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Cos’era il nome suo sulle mie labbra

se non un legger volo di gabbiano?

Un brivido improvviso sulla pelle,

sole che muore dietro un velo bianco,

nuvola che va via lenta,

rapita in ciel dall’alitar del vento.

Ma al volo mio necessitai una sosta.

Ahi quanto amore può stancare.

E la scogliera feci mia dimora,

l’argento dei suoi occhi

rimirai nel mare.

Luna a metà,

ti manca come a me qualcosa.

Se non fossi sicuro che a quest’ora

nel cielo solo tu brilli sì tanto,

direi: thò, guarda quella stella.

Che strana forma ha la realtà di notte.

Lamenta e geme il cuore

nel sospirar dell’onde.

La sosta mi ha stancato,

lei chiama, vuole amore.

Città di mille scintillii,

quest’occhi t’han già visto.

un fior da poco nato,

sulla pelle di gioielli ornata.

Parla di lei la notte,

il dì, la mezzaluna,

degli occhi suoi profondi,

della sua chioma bruna.

le mani in vento

ora vorrei cangiar,

dovunque è lei,

la potrei carezzar.

Soltanto un giorno ci divide i passi.

Domani la vedrò,

col braccio cingerò i suoi fianchi.

Eppur mi sembra tanto questo tempo,

che a volte scorre lento

ed altre sfugge tra le dita.

Ma fatemi soffrir per questa notte,

domani tempo avrò solo per lei,

la mia vita.

Il poeta maledetto

 

 

Amore tu – scritta il 26 dicembre 1995

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Un attimo basta

a perdersi nel tuo sguardo.

Nell’infinito buio di un cuore

che non ti può avere.

Dolcissime labbra

che strappaste all’anima mia il ricordo

di un’età in cui cercavo l’amore

e non trovavo che me;

ora che ti ho davanti e ti guardo

mi accorgo di aver trovato l’amore

e di perderlo.

Ti stringerei fra le mie braccia amore

ma inutile sarebbe prolungare questi attimi.

Ti prego va via.

Prima che il mio dolore si esprima.

Lasciami affondare in una lacrima.

Lasciami solo a ricordare

di quando tu non c’eri.

Ma poi dov’eri?

Perché non ci conosciamo da sempre?

Tu sei nata mia,

sei dentro di me

e adesso vai via.

Un bacio ti prego

per dire addio a un cuore

e all’anima mia.

 

Il poeta maledetto

 

Mia dolce stellina – scritta il 23 agosto 1995

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Stellina mia, un attimo fa eri qui.

Stellina mia dove sei andata?

Ti avevo qui fra le mie braccia,

ti avevo qui sulle mie labbra.

Nel tuo sorriso era la mia felicità,

nei tuoi passi la mia voglia di vivere.

Ma quei tuoi passi, dove ti hanno portata?

Amore mio, quanto mi manchi!

Stellina mia, ma dove sei andata?

 

Il poeta maledetto

 

Lei – 24 aprile 2009

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Di mille e più pagine scritte mi beai.
Giacchè d’amor cantavo ed in cuor mio
d’immeritato orgoglio mi vantai
dell’esser non ineguagliabile
ma almeno insuperabile.
Io che di parole in carezza tramutai
col pensiero il cuore a sfiorare.
Di chi leggendo rapito fosse
di melodioso mio pizzicare
senza mai sentimento spezzare,
ché per tutti fosse non traguardo,
ma partenza da spiegar le ali e volare.
Io poeta sconosciuto,
del mondo, bardo ad errare,
di polverosa strada in piedi scalzi t’incontrai.
Musa.
Velata d’oro, di luminosa stella il tuo viso,
armoniosa voce regalasti.
E nulla fu più grande
del potermi inginocchiare al tuo cospetto.
Voltate spalle un attimo soltanto
a guardar negra scia che seminata avevo,
su pagine volate via,
bianche e vuote,
or che d’un tuo sorriso in un istante
cancellate per sempre le hai.
Ed or che fogli e penna non ho più,
mia musa,
come farò a scriver di te?
come saprà il mondo
che il poeta ha conosciuto il vero amore?
Ma voce non attese mia parola,
e risposta vi fu senza domanda.
Di mano tesa verso me
ripresi il passo ad incontrare.
“la parola Amore,
scrivila adesso sul mio cuore.
Suggella le tue labbra sulle mie,
perchè da dove tu la posi leggera,
non possa più scappare.”

Così diss’ella.
Così poeta fece.

Serrate labbra – 8 febbraio 2009

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Di un’unica voce,raminga,
in sconfinati, angusti e bui corridoi.
Di solitario palazzo
con mille e più stanze vuote.
Non una porta, né finestre.
Fantasma in catene,
di piccoli anelli spezzati e persi.
Vagar non m’è che malattia.
Condanna inceder strascicando.
Ma un passo segue sempre
quel che venne per primo.
Non scorgo piedi,
né frusciar lento
di pelle su terra,
o lastricati freddi marmi
il contatto.
E l’agghiacciante grido
di un giorno nuovo,
che nasce e ch’io non posso vedere,
d’un presente in cui
futuro e passato
omozigoti sembionti m’avvincono,
batte con tutta la sua forza,
pareti che vibran ma non cedono,
tra mura,
dove trasformasi in silenzio.
Morendo al lento stillicidio,
di goccia che si perde dove mai,
potrai saper ch’essa sia nata per te,
e che per lo stesso motivo,
svanisce per sempre
in lacrime nere che verso,
su bianchi fogli tramutando in parole.
Chi mai seguir potrà
invisibili, occultate tracce,
ch’io lascio in pegno di liberazione?
Se direzione è verso colei
che carceriera condannò e eseguì,
sigillando e tramutando in prigione,
appassiti corridoi di desolato cuore.

  

Il poeta maledetto