Soffoca,
stringendo arcigna dita al collo.
Vince,
segnata ormai la lotta per la vita.
Batte,
scandendo ad ogni sussulto un punto.
Esanime lasciando
spoglie abbandonate a putrescenza.
Eppur…
Qual organismo ch’or giace ai piedi tuoi,
oramai in ricordo flebile mutato,
hai ucciso?
Le tue mani or tremano,
sbiadendo al chiaror dell’alba,
mentre con occhi vitrei osservi,
che con l’ultimo tuo rantolo di vita,
con l’ultime forze, anziché rialzar la fronte
a rimirar un futuro tramontare e risorgere,
te stessa hai ucciso.
Ed or non basta in rivalsa
che a pianger siano occhi e cuore.
Da quando anima, amore, esiliasti
perdendoti in una tomba
e merda e oro in impasto.
Or carne morta rimani.
Che gli avvoltoi finiscano,
quel che agli sciacalli in vita concedesti.
Il poeta maledetto